Non ho più serbatoi di memoria.
Li ho riempiti tutti e poi svuotati,
come scatoloni di libri, ci trovi sempre dentro altro,
e non puoi davvero semplicemente traslocarli
e rimetterli sugli scaffali.
Non più commemorazioni
non ho più con me
orazioni per vite passate,
la vita si arrotola e i miei tralicci crollano
crollano
crollano
nessuno mi ha mai
vendemmiato.
L'ottobre passato
son partita quasi per niente,
solo per perdere tutto e imparare
da capo.
Il giorno dieci nove otto
era domenica,
e io l'ho contato via, ho scritto
ho scritto tutt'altro.
Ho scritto per te, come sempre,
ma senza mai dire, papà,
Dodici anni mi fanno
vergognare.
Il poco che so(no)
mi fa vergognare.
Eppure mi so abbastanza vecchia
per avere anche un po' tenerezza,
carezza beffarda ma buona,
senti un po' come suona
morire di under-dose
morire senza cose
morire così a un certo punto,
ma neanche, a una virgola,
andare via senza via, senza
farsi notare.
Perché poi morire,
un momento.
Son troppo ignorante
per finire, è ingombrante
un fiume senz'argine, un mare
questo mio margine
di miglioramento.
L'ottobre passato era domenica
e io me la sono presa,
libera, ho fatto la spesa da Freud
e mi sono sentita
misera e piccola e credo di non aver mai
riso tanto,
o tanto tremato, alla luce minima
della minuscola stanza.
L'ottobre passato
dieci nove otto
ho contato all'indietro come un mal di capo
danno, quasi mai terza persona plurale,
eh ma così non vale, non lo sostengo più,
sto sostantivo.
L'ottobre passato ho cantato
all'indietro tutte le poesie
e le pose che sapevo.
Mi rimanevano solo le posate,
quasi mai seconda persona plurale,
che male,
che fame.
C'è la psicanalisi e poi c'è Lione,
che non mi ha mai chiesto niente
e che manco mi conosceva.
C'è il Moi-peau e poi c'è
la divisione da sé,
il gesto di tracciarla
netta come una lama,
spessa come una lana
di ricordi di altre me,
la lana mi avvolge,
si avvolge nel mantello
è Batman
è proprio Batman
è proprio
è la pelle della mia specie,
la mia specie è debole, e soffre.
La mia fiamma è flebile, e s'offre.
Io questa lettera avrei voluto scrivertela a mano
a mano a mano,
ma tu non mi dai la mano e non torni vicino,
io resto tua foglia
senza giardino,
una senza famiglia,
una senza banda
e senza destino,
mi alzo al mattino e lo cambio,
senza scontrino.
C'è Lione e poi c'è il caffè
da immaginare
una crema di nulla col te
con tutti i miei giorni
da macinare.
Che fai? Come stai? Quando torni?
Di cosa ti fai questi giorni?
Attenta vai lenta attenta
agli attentati.
Li ho tentati tutti,
i comorti e i conati,
li ho aspettati e pianti
pianti tutta la notte,
ma come la canti la ninna nanna
ai condannati ?
Ma se dovesse restarmi un solo
ultimo giorno
mi spingerei dove non torno
- in collina.
Pelle della mia
pelle bambina,
pelle che era mia
pelle medicina,
ci hai lasciato la pelle e le stelle,
in collina, mi hai lasciato,
baustelle,
mi hai lasciato nella carne
questa tua reincarnazione,
ma che farne?
Io sono e non so
la tua narrazione.
Il codice, la fonte
l'informazione
mi salva e mi sconfigge,
la chiave, la consolazione
mi cade e mi ricade
dalla tasca,
la chiave trafigge,
tormenta, burrasca,
equazione irrisolta,
fodera bucata non tiene,
e la tua eredità di scorta
è un cappotto in rivolta.
ucronista

- iskariel
- Paris, France
- Gaia Barbieri nasce e vive nonostante tutto come il basilico a Lausanne, da trentaquattro anni e più che altro per curiosità. ...JeSuisUnAutre...
mercoledì 30 dicembre 2015
lunedì 14 settembre 2015
Morire. Questo, a un gatto, non si fa.
Mao rire, mao rire,
e per fermarti
che posso dire?
Dopo tutta una vita di buona
cattività,
passata a cullarmi
le nevrosi di fini ed inizi
d'indizi
d'assoluta presenza.
Sono stata io,
io sono stata il tuo
genitore perenne e sciocco,
la pappa, il divano, il calore
e il mio amore in mano troppo
troppo umano.
- Pico, benvenuto, Pico
questo è un albero
quello è un fico.
Lo vedi? Che pensi? Che credi?
Sui libri di scuola ti siedi,
mi guardi pensoso e profondo,
Pico, ma a te piace il mondo?
- Non so. È tanto, veloce, a dirotto
io mi ci confondo.
Ma nel caldo e nel morbido,
in questi profumi di casa e sotto
le vostre mani, faccio le fusa
fino a domani, meditabondo.
- Pico, sono tornata
da scuola, la versione
penso sia andata.
- Greco o latino?
- Greco, ma non ti ricordi?
Ieri studiavo e tu mi dormivi
sul vocabolario.
- Non dormivo, ti aiutavo.
- E la tua mattinata? Come l'hai passata?
- Ho aiutato la nonna Luisa
a cucinare, poi le ho fatto un agguato
le ho catturato le gambe
e la gonna.
- Perché mi tieni sempre in mano?
Io c'ho da fare, non lo sai?
- Perché mi manchi quando non sei
vicino. Sei il mio micino, tappeto persiano.
- E allora perché te ne vai,
se fosse vero non dovresti
andartene non dovresti
lasciarmi mai. Adesso giochiamo?
- Pico, ti manca la tua mamma?
I tuoi fratellini?
- Sei tu, adesso, mamma,
dammi i croccantini.
- Miao? Dove andiamo?
- In vacanza, micione!
Io, te e il nonno,
l'aereo prendiamo!
- L'aereo? Che cosa vuol dire?
- Che di volare avremo l'ardire, aereo vuol dire.
- Ma non possiamo volare, non siamo uccelli...
- È assurdo lo so, ma volte, se vogliamo
i sogni assurdi, li realizziamo,
anche i più belli!
- Miao...
- Cosa ne pensi, micio fifone?
- Medito i limiti della ragione...
- Pico, è morto il nonno, Pico, è morto Miki, Pico, Cirillo è morto, è morto, come come facciamo come facciamo adesso...
- Morto? Cosa vuol dire?
- Che non tornerà dal partire, morto vuol dire.
- Ma sì, torna sempre, lo aspetto alla porta.
- No, micio-mocio, non questa volta.
- Mmmm. E allora? Andiamo da lui, lo vedremo lo stesso.
- No. Morto vuol dire che ha smesso
di farsi vedere.
- Che importa, io sono un gatto,
lo posso toccare, sentire, annusare,
il nonno è materia, io c'ho l'olfatto.
- No, bel baffone, morto vuol dire che Miki
non ne ha più, di materia,
è disfatto.
- Anche il letto è disfatto, si può rifare...
- No, con la morte non vale, è più seria
più definitiva di tutto, pare.
- Il nonno mi gratta la testa io faccio le fusa
per lui, come a festa,
il nonno sorride, mi fa volare,
e io non ci credo che è morto,
è una scusa, mica si muore così
senza salutare.
- Ma non lo sapeva, voleva tornare.
- Morto, ma cosa vuol dire?
- Somiglia a dormire.
- Dormire? Ma anch'io dormo sempre!
Col nonno, gli dormo tra i piedi,
lo so che vuol dire dormire, che credi,
scemi avete confuso il dormire
col morire avete confuso
il dormire col morire, non vedi?
- Micio, sono a casa, dove sei?
Perché oggi non mi aspettavi?
- Volevo guardarti di nascosto,
mentre mi cercavi
nel solito posto.
- Pico, mi sono innamorata.
- Bah.
- Che c'è? Non sei
felice per me?
- Bah.
- Sarà presto un artista,
un attore, un poeta,
ha pensieri di seta.
Ha un cane e anche un gatto.
- Bah. Questo è matto.
- Cosa guardi? Perché non mi parli?
Mi accarezzi con aria distratta?
- È la tristezza, micione, oggi
sono distrutta.
- Ma come? Senti, ti faccio le fusa,
i gerani si aprono, è bella la vita!
- Gattomatto, lo so, ma la mia
oggi è brutta.
Menomale tu resti
a consolarmi le dita.
- Pico, dovremo andar via.
La tua nonna bis traslocherà,
andrà presto a Pavia.
- Cambiamo casa?
- Sì.
- Non possiamo.
- Lo so, ma dobbiamo.
- Ma il nonno poi torna
e non ci trova,
questo non si fa.
- Pico, Miki non tornerà.
- Ma è questa casa mia è questa
con la stanza del nonno e i balconi grandi
coi divani e il parquet gli insettini
i miei nascondigli segreti
e la mia cameretta con la finestra
è mia è mia questa vita
questa casa qui.
- Avete messo tutto in scatola.
- Sì, micione, è il trasloco.
- È un pessimo gioco.
- Lo so, è proprio brutto.
- Mi hai tolto tutto.
- Ma no, Picone, è per poco
ti ho solo spostato
le cose, le ritroverai.
- E a me, dove mi porterai?
- Nell'altra casa di Milano,
quella dove hai scolpito
con le unghie il divano.
- Non a Pavia con la Luisa?
- No, con Claudia e con me.
Luisa è un po' stanca, non può tutta sola
occuparsi di te.
- Miao.
- Che c'è?
- Sono triste. Non so cosa fare.
- Non essere triste baffone,
la andremo a trovare.
- Ma tu, tu mi terrai vicino?
- Sì. Sempre.
- Bugiarda. Dammi un croccantino.
- Allora, che dici, micione?
Ti piace il balcone?
Qui dà sul giardino,
allora, mettiamo radici?
- È grande quest'albero nuovo,
e tanti gli uccellini,
ma è strano, non so cosa provo.
- Vuoi due croccantini?
- Miao.
- Ehi. Ciao.
- Miao.
- Ma che ore sono?
- Miao.
- Le 6, Pico! Stai buono!
- Miao.
- Ho capito, hai ragione.
Devo ripassare
per l'interrogazione.
- Frrrrrr....
- Che micio secchione.
- Pico, Pico...
- Perché piangi forte?
- Non te lo dico...
- Perché?
- Non posso
dirlo a nessuno.
- Allora vuol dire
che c'entra la vita
o la morte.
- Consolami forte.
- Novantotto.
- Miao?
- Novantotto.
- Dai i numeri?
- Uno solo. Che ne pensi?
- Giochi al lotto?
- No, micione. È solo un voto
che riassume tutto.
- Il liceo?
- Sì.
- È finito?
- Sì.
- Come quando si muore?
- Mm-mm. Che ne pensi?
- Che adesso potrai cominciare
delle fini nuove.
- È successo ancora.
- Miao?
- Mi sono innamorata!
- Umani. Che razza complicata.
- Davvero, sapessi
come son confusa...
...Fammi forte tante fusa!
- Pensi che io le faccia a comando?
Povera illusa...
...Fffffffffrrrrrrrrrrrrrrr...
- Pico, Pico, che meraviglia,
tale ragazzo-padre, tale la figlia,
così la vita prende la via
di una festosa, eclatante anarchia!
E la vuoi sapere la verità?
È una bellezza, l'università!
- Sappi comunque che in filosofia
io son più competente,
cara mia!
- Lo so, micio mio dotto,
son io che ti ho chiamato
come il più eloquente
filo-letterato!
- Presto, immantinente
l'omogeneizzato!
- Che ci fa quello, qua?
- "Quello" si chiama "Clipper".
- Quando se ne va?
- Resta qui con noi.
- Voglio spiegazioni.
- Diventerete presto
grandi a-micioni!
- Mi oppongo, m'indigno, protesto!
- Eddai, vuole giocare,
vai da lui, fa' un bel gesto!
- Felino invasore molesto.
- Pico!
- Ehm, mao, sì, Flipper...
- Clipper...
- Ehm, sì, quella cosa lì...Tripper...
...Sì, puoi, ehm, mao, essermi amico...
...In un altro Sistema Solare...
- Maleducato. Gatto asociale.
- Mao, che credi?
Ci vuole del tempo, per questa faccenda.
Adesso ci dobbiamo a vicenda
addomesticare.
- Pico...
- Non me lo dire.
Ho già capito.
Con quel tuo fare bonario
cerchi di portarmi
dal veterinario!
Ah, l'ingiustizia è sovrana,
è una traditrice
la mia umana!
- Eddai...
- Beh, che hai?
Stai lì a guardarmi?
Potresti almeno
coccolarmi!
- Sto cercando dell'acqua.Wasser, bitte. Lei capisce
il tedesco?
- Mao?!
- Pico! Se mi distrai io esco
dalla parte!
- Esci? E dove vai? Da che parte?
- No, no, mocio, è il teatro,
è un gioco, è un'arte!
- Ma tu salti, gridi, io mi spavento!
- Questo pubblico felino
non è mai contento!
- Miao?
- Ehi tu, ciao!
- Te ne vai?
- In Erasmus, lo sai.
- E a me non mi porti?
- Ma Pico, ma se ciò che è nuovo
tu non lo sopporti!
- Potevi almeno provarci.
- Ci vediamo presto, gattone.
Adesso è il momento
di salutarci.
- È questo, la vita.
- Questo cosa?
- Cercare un senso che non trovo
nel ripetersi del movimento
di separarci.
- Da quando sei tornata
non ti ho vista sorrider davvero
una sola giornata.
- Lo so. Sono fregata.
- Stavi meglio a Parigi?
- Chi te l'ha detto?
- Sono un gatto, non ho l'empatia
di un'orata!
- Pico!! Credo di sì,
ma a volte ho il sospetto
che Parigi, io
me la sono inventata.
- Mao, sei fregata.
- In questi casi è consigliata
fuso-terapia
illimitata.
- Miao?
- Sì, vado via di nuovo.
Qui non posso stare.
- A Parigi?
- No. In una tana
dove poter riposare,
pensare.
- Vai in letargo?
- Tipo. Forse
a covare un uovo.
- Mao? Covare??
- Scaldare il futuro.
Per poterlo creare.
- Però ricordati che al presente
ci sono io, da coccolare.
- Son venuta a salutarti!
- Per dove parti?
- Parigi!
- Lo sapevo. L'uovo si è schiuso?
- Forse. Oppure mi ha illuso.
- Parti senza sapere?
- Parto perché se non parto
non posso vedere.
- Mao. Buon viaggio.
- Grazie, Picone, fammi le fusa
che danno coraggio...
- Pico, Pico, sono tornata!
Picone? Perché non rispondi?
- È una giornata
di pensieri errabondi...
- Non mi fai le fusa?
- Oggi ho una parte
di cuore rigata,
delusa...
- Lo so, sei triste da quando
me ne sono andata.
Maledizione.
Ti ho lasciato solo.
- Solo? No,
è più complesso,
a volte
son stanco e in un sogno
bizzarro sprofondo,
sempre lo stesso.
La stessa emozione.
Mamma. È strano forte
il mondo.
- Strano come?
- Gira...in tondo...
- Vieni qui, facciamo le scorte
di coccole.
Oggi son io
che ti consolo.
- Pico...il mio daìmon, il mio
antichissimo amico...
- Sei tornata! Ma perché
appena mi tocchi
ti si riempion di lacrime gli occhi?
- Niente, Picone, un po' di allergia
fuori stagione...
- Bugia...
- Ma tu? Perché da giorni
non mangi, non fai le fusa,
e neanche un miao?
- Ogni volta che torni
mi chiedi scusa
ancora prima di dirmi ciao...
- Non cambiare discorso!
Perché non mangi, gattorso?
Perché stai fermo e in malinconia
sempre sotto la libreria?
- Credi sia nato da poco?
Ho visto le scatole, state per fare
un altro trasloco...
- Sì...Ma durerà poco...
- Lo sai, detesto quel gioco.
- Sarà un bel cambiamento,
vedrai,
col tuo a-micio Clipper, che divertimento,
che bel mondo nuovo scoprirai!
- Io sono stanco, sai mamma?
Voglio soltanto fare la nanna...
Clipper mi piace,
è dolce e vivace,
ci siam fatti compagnia,
ma forse adesso mamma,
io vado via...
Non ho più fame di vita,
e neanche di pappa, anche se guarda,
guarda, la mangio,
se tu me la dai con le dita...
- Starai meglio presto, pepita.
- Mi vuol bene, è testarda,
quest'umana bugiarda.
- Pico!
- Mao...
- Pico, apri gli occhi, dimmi ciao!
-Sssssh...Silenzio. Ascolta.
- Cosa, micione? Sono altri animali
ammalati, chiamano il padrone...
- No. È una rivolta.
Contro questa prigione.
- Ma che prigione, è un pronto soccorso
veterinario, gattorso,
serve a guarire, a star bene...
- Guarda. Ho dei tubi
dentro alle vene.
- Ti puliscono il sangue micione,
ancora due giorni, un ultimo esame...
- Son qui da un mese!
- No Pico, da ieri.
Stai esagerando...
- Mi stan sradicando
perfino i pensieri.
- Ma io...
- Tra un miagolio
sarò tra i tuoi ieri.
- Pico!
- Lo so, ti fa male la fine,
ma credimi quando ti dico -
portami a casa.
La nostra casa quasi svuotata,
storia anche lei provvisoria
come tutto per noi tranne il poco,
la scintilla che avevamo da cuccioli
e che insieme dal buio abbiamo salvata.
- Dottoressa, se può far subito l'esame,
noi poi andiamo...
- Mao, non mi bucare la zampa.
Per favore. Non obbediamo.
- Dottoressa, si fermi, lasci stare...
...Grazie, ma noi adesso a casa
vogliamo tornare.
A passare abbracciati le ore.
Vieni, Picone, in prigione
non ti lascio mai più.
- Che succede, gattone?
- Mao.
- Non vuoi mangiare?
- ...
- Andiamo dal dottore,
continuiamo la cura...
- Non si cura, la vita-la morte.
Si vive-si muore, mamma,
non avere paura...
- No! Il dottor Angelo...
- Ha un nome adatto
a quello di cui avrà premura.
- No! Pico, il mio daìmon il mio
antichissimo amico...
- Mamma, stavolta dal veterinario
ti ci porto io.
- Non ancora...non è orario...
- Vieni, non fare storie.
- Ma...
- Sono già nella gabbietta.
- Aspetta!
- Mamma, ci siam detti tutto.
- Non è vero! Sei brutto
se te ne vai! Non devi capito,
non dovresti lasciarmi mai!
- Tutto non è abbastanza,
ma questo lo sai.
- ...
- Dammi retta.
- Giuda ballerino,
è un traditore, il mio felino...
- Forza. Portami fuori da questa stanza.
Voglio vedere il sole, ogni atomo
del tempo che avanza.
- Pico, oggi... È la presa della Bastiglia...
- E tu sei la mia famiglia.
E se aspettiamo insieme la morte
prendiamo anche lei di sorpresa,
con un ultimo guizzo ridiamo la resa,
la sorte, facciamo
questa rivoluzione.
- Pico?
- Mao?
- Ti resto accanto, gattone
ti canto
una canzone.
- Buonanotte, buonanotte, fiorellino...
- Mamma, è l' anestesia?
- Sì Picone, tra il mare e la stanza...
- Tutto il dolore si porta via...
- Ti ringrazio per avermi stupito...
- Sento che sei qui vicino...
- Pico, ecco i miei occhi, tienili fino
alla fine...E vicino non è ancora abbastanza...
- Mamma...Poi cosa succederà?
- Ti porto in un bosco, il Bosco in città, tra il telefono e il cielo...
- E cosa faccio, io?
- Ascolti le radici, ti trasformi, e l'anello resterà sulla spiaggia...
- Mi trasformo? Divento una farfalla?
- Eheh, quasi Pico, diventi erba, albero,
diventi lombrico, gli uccellini nel vento...
- Mao...Mi addormento...
- ...Non si fanno mai male...
- Confondo il dormire...col...Mao...Rire...
- E per fermarti, che posso dire? Hanno ali...
- Ma la nostra scintilla è stata speciale,
guarda ora brilla, e il solo reale
è l'amore, la scintilla mi porta
ad un altro partire,
morto vuol dire.
- Più grandi di me...
- Fffffrrrrrr...
- Pico, ho capito,
la vita-la morte è miscela,
io muoio, tu vivi, se allargo la tela,
ti lascio partire
ma vengo con te.
E dall'alba al tramonto...
Un occhio si è chiuso,
uno, ostinato, l'hai lasciato aperto.
Mi porti con te, nel cielo deserto?
...Sono soli nel sole...
L'Angelo è gentile. Ci lascia tutti e due.
Ti pulisco come se avesse senso.
Ti guardo e penso
ti avvolgo nel tuo lenzuolino
a fiori quasi come gli eroi,
ti prendo in braccio e poi,
...Buonanotte...
Ti riporto alla terra, ti restituisco,
disturbo insettini e radici e capisco,
dopo tutta una morte decisa
per istinto, per ragione animale,
per fidarti del mio amore troppo
troppo umano da tenere, ti tengo,
ancora ti ho in mano, ti sento già freddo
come le zolle che sposto,
e questo è il posto, stavolta
quasi per sempre, mio daìmon,
...Questa notte...
È per te.
e per fermarti
che posso dire?
Dopo tutta una vita di buona
cattività,
passata a cullarmi
le nevrosi di fini ed inizi
d'indizi
d'assoluta presenza.
Sono stata io,
io sono stata il tuo
genitore perenne e sciocco,
la pappa, il divano, il calore
e il mio amore in mano troppo
troppo umano.
- Pico, benvenuto, Pico
questo è un albero
quello è un fico.
Lo vedi? Che pensi? Che credi?
Sui libri di scuola ti siedi,
mi guardi pensoso e profondo,
Pico, ma a te piace il mondo?
- Non so. È tanto, veloce, a dirotto
io mi ci confondo.
Ma nel caldo e nel morbido,
in questi profumi di casa e sotto
le vostre mani, faccio le fusa
fino a domani, meditabondo.
- Pico, sono tornata
da scuola, la versione
penso sia andata.
- Greco o latino?
- Greco, ma non ti ricordi?
Ieri studiavo e tu mi dormivi
sul vocabolario.
- Non dormivo, ti aiutavo.
- E la tua mattinata? Come l'hai passata?
- Ho aiutato la nonna Luisa
a cucinare, poi le ho fatto un agguato
le ho catturato le gambe
e la gonna.
- Perché mi tieni sempre in mano?
Io c'ho da fare, non lo sai?
- Perché mi manchi quando non sei
vicino. Sei il mio micino, tappeto persiano.
- E allora perché te ne vai,
se fosse vero non dovresti
andartene non dovresti
lasciarmi mai. Adesso giochiamo?
- Pico, ti manca la tua mamma?
I tuoi fratellini?
- Sei tu, adesso, mamma,
dammi i croccantini.
- Miao? Dove andiamo?
- In vacanza, micione!
Io, te e il nonno,
l'aereo prendiamo!
- L'aereo? Che cosa vuol dire?
- Che di volare avremo l'ardire, aereo vuol dire.
- Ma non possiamo volare, non siamo uccelli...
- È assurdo lo so, ma volte, se vogliamo
i sogni assurdi, li realizziamo,
anche i più belli!
- Miao...
- Cosa ne pensi, micio fifone?
- Medito i limiti della ragione...
- Pico, è morto il nonno, Pico, è morto Miki, Pico, Cirillo è morto, è morto, come come facciamo come facciamo adesso...
- Morto? Cosa vuol dire?
- Che non tornerà dal partire, morto vuol dire.
- Ma sì, torna sempre, lo aspetto alla porta.
- No, micio-mocio, non questa volta.
- Mmmm. E allora? Andiamo da lui, lo vedremo lo stesso.
- No. Morto vuol dire che ha smesso
di farsi vedere.
- Che importa, io sono un gatto,
lo posso toccare, sentire, annusare,
il nonno è materia, io c'ho l'olfatto.
- No, bel baffone, morto vuol dire che Miki
non ne ha più, di materia,
è disfatto.
- Anche il letto è disfatto, si può rifare...
- No, con la morte non vale, è più seria
più definitiva di tutto, pare.
- Il nonno mi gratta la testa io faccio le fusa
per lui, come a festa,
il nonno sorride, mi fa volare,
e io non ci credo che è morto,
è una scusa, mica si muore così
senza salutare.
- Ma non lo sapeva, voleva tornare.
- Morto, ma cosa vuol dire?
- Somiglia a dormire.
- Dormire? Ma anch'io dormo sempre!
Col nonno, gli dormo tra i piedi,
lo so che vuol dire dormire, che credi,
scemi avete confuso il dormire
col morire avete confuso
il dormire col morire, non vedi?
- Micio, sono a casa, dove sei?
Perché oggi non mi aspettavi?
- Volevo guardarti di nascosto,
mentre mi cercavi
nel solito posto.
- Pico, mi sono innamorata.
- Bah.
- Che c'è? Non sei
felice per me?
- Bah.
- Sarà presto un artista,
un attore, un poeta,
ha pensieri di seta.
Ha un cane e anche un gatto.
- Bah. Questo è matto.
- Cosa guardi? Perché non mi parli?
Mi accarezzi con aria distratta?
- È la tristezza, micione, oggi
sono distrutta.
- Ma come? Senti, ti faccio le fusa,
i gerani si aprono, è bella la vita!
- Gattomatto, lo so, ma la mia
oggi è brutta.
Menomale tu resti
a consolarmi le dita.
- Pico, dovremo andar via.
La tua nonna bis traslocherà,
andrà presto a Pavia.
- Cambiamo casa?
- Sì.
- Non possiamo.
- Lo so, ma dobbiamo.
- Ma il nonno poi torna
e non ci trova,
questo non si fa.
- Pico, Miki non tornerà.
- Ma è questa casa mia è questa
con la stanza del nonno e i balconi grandi
coi divani e il parquet gli insettini
i miei nascondigli segreti
e la mia cameretta con la finestra
è mia è mia questa vita
questa casa qui.
- Avete messo tutto in scatola.
- Sì, micione, è il trasloco.
- È un pessimo gioco.
- Lo so, è proprio brutto.
- Mi hai tolto tutto.
- Ma no, Picone, è per poco
ti ho solo spostato
le cose, le ritroverai.
- E a me, dove mi porterai?
- Nell'altra casa di Milano,
quella dove hai scolpito
con le unghie il divano.
- Non a Pavia con la Luisa?
- No, con Claudia e con me.
Luisa è un po' stanca, non può tutta sola
occuparsi di te.
- Miao.
- Che c'è?
- Sono triste. Non so cosa fare.
- Non essere triste baffone,
la andremo a trovare.
- Ma tu, tu mi terrai vicino?
- Sì. Sempre.
- Bugiarda. Dammi un croccantino.
- Allora, che dici, micione?
Ti piace il balcone?
Qui dà sul giardino,
allora, mettiamo radici?
- È grande quest'albero nuovo,
e tanti gli uccellini,
ma è strano, non so cosa provo.
- Vuoi due croccantini?
- Miao.
- Ehi. Ciao.
- Miao.
- Ma che ore sono?
- Miao.
- Le 6, Pico! Stai buono!
- Miao.
- Ho capito, hai ragione.
Devo ripassare
per l'interrogazione.
- Frrrrrr....
- Che micio secchione.
- Pico, Pico...
- Perché piangi forte?
- Non te lo dico...
- Perché?
- Non posso
dirlo a nessuno.
- Allora vuol dire
che c'entra la vita
o la morte.
- Consolami forte.
- Novantotto.
- Miao?
- Novantotto.
- Dai i numeri?
- Uno solo. Che ne pensi?
- Giochi al lotto?
- No, micione. È solo un voto
che riassume tutto.
- Il liceo?
- Sì.
- È finito?
- Sì.
- Come quando si muore?
- Mm-mm. Che ne pensi?
- Che adesso potrai cominciare
delle fini nuove.
- È successo ancora.
- Miao?
- Mi sono innamorata!
- Umani. Che razza complicata.
- Davvero, sapessi
come son confusa...
...Fammi forte tante fusa!
- Pensi che io le faccia a comando?
Povera illusa...
...Fffffffffrrrrrrrrrrrrrrr...
- Pico, Pico, che meraviglia,
tale ragazzo-padre, tale la figlia,
così la vita prende la via
di una festosa, eclatante anarchia!
E la vuoi sapere la verità?
È una bellezza, l'università!
- Sappi comunque che in filosofia
io son più competente,
cara mia!
- Lo so, micio mio dotto,
son io che ti ho chiamato
come il più eloquente
filo-letterato!
- Presto, immantinente
l'omogeneizzato!
- Che ci fa quello, qua?
- "Quello" si chiama "Clipper".
- Quando se ne va?
- Resta qui con noi.
- Voglio spiegazioni.
- Diventerete presto
grandi a-micioni!
- Mi oppongo, m'indigno, protesto!
- Eddai, vuole giocare,
vai da lui, fa' un bel gesto!
- Felino invasore molesto.
- Pico!
- Ehm, mao, sì, Flipper...
- Clipper...
- Ehm, sì, quella cosa lì...Tripper...
...Sì, puoi, ehm, mao, essermi amico...
...In un altro Sistema Solare...
- Maleducato. Gatto asociale.
- Mao, che credi?
Ci vuole del tempo, per questa faccenda.
Adesso ci dobbiamo a vicenda
addomesticare.
- Pico...
- Non me lo dire.
Ho già capito.
Con quel tuo fare bonario
cerchi di portarmi
dal veterinario!
Ah, l'ingiustizia è sovrana,
è una traditrice
la mia umana!
- Eddai...
- Beh, che hai?
Stai lì a guardarmi?
Potresti almeno
coccolarmi!
- Sto cercando dell'acqua.Wasser, bitte. Lei capisce
il tedesco?
- Mao?!
- Pico! Se mi distrai io esco
dalla parte!
- Esci? E dove vai? Da che parte?
- No, no, mocio, è il teatro,
è un gioco, è un'arte!
- Ma tu salti, gridi, io mi spavento!
- Questo pubblico felino
non è mai contento!
- Miao?
- Ehi tu, ciao!
- Te ne vai?
- In Erasmus, lo sai.
- E a me non mi porti?
- Ma Pico, ma se ciò che è nuovo
tu non lo sopporti!
- Potevi almeno provarci.
- Ci vediamo presto, gattone.
Adesso è il momento
di salutarci.
- È questo, la vita.
- Questo cosa?
- Cercare un senso che non trovo
nel ripetersi del movimento
di separarci.
- Da quando sei tornata
non ti ho vista sorrider davvero
una sola giornata.
- Lo so. Sono fregata.
- Stavi meglio a Parigi?
- Chi te l'ha detto?
- Sono un gatto, non ho l'empatia
di un'orata!
- Pico!! Credo di sì,
ma a volte ho il sospetto
che Parigi, io
me la sono inventata.
- Mao, sei fregata.
- In questi casi è consigliata
fuso-terapia
illimitata.
- Miao?
- Sì, vado via di nuovo.
Qui non posso stare.
- A Parigi?
- No. In una tana
dove poter riposare,
pensare.
- Vai in letargo?
- Tipo. Forse
a covare un uovo.
- Mao? Covare??
- Scaldare il futuro.
Per poterlo creare.
- Però ricordati che al presente
ci sono io, da coccolare.
- Son venuta a salutarti!
- Per dove parti?
- Parigi!
- Lo sapevo. L'uovo si è schiuso?
- Forse. Oppure mi ha illuso.
- Parti senza sapere?
- Parto perché se non parto
non posso vedere.
- Mao. Buon viaggio.
- Grazie, Picone, fammi le fusa
che danno coraggio...
- Pico, Pico, sono tornata!
Picone? Perché non rispondi?
- È una giornata
di pensieri errabondi...
- Non mi fai le fusa?
- Oggi ho una parte
di cuore rigata,
delusa...
- Lo so, sei triste da quando
me ne sono andata.
Maledizione.
Ti ho lasciato solo.
- Solo? No,
è più complesso,
a volte
son stanco e in un sogno
bizzarro sprofondo,
sempre lo stesso.
La stessa emozione.
Mamma. È strano forte
il mondo.
- Strano come?
- Gira...in tondo...
- Vieni qui, facciamo le scorte
di coccole.
Oggi son io
che ti consolo.
- Pico...il mio daìmon, il mio
antichissimo amico...
- Sei tornata! Ma perché
appena mi tocchi
ti si riempion di lacrime gli occhi?
- Niente, Picone, un po' di allergia
fuori stagione...
- Bugia...
- Ma tu? Perché da giorni
non mangi, non fai le fusa,
e neanche un miao?
- Ogni volta che torni
mi chiedi scusa
ancora prima di dirmi ciao...
- Non cambiare discorso!
Perché non mangi, gattorso?
Perché stai fermo e in malinconia
sempre sotto la libreria?
- Credi sia nato da poco?
Ho visto le scatole, state per fare
un altro trasloco...
- Sì...Ma durerà poco...
- Lo sai, detesto quel gioco.
- Sarà un bel cambiamento,
vedrai,
col tuo a-micio Clipper, che divertimento,
che bel mondo nuovo scoprirai!
- Io sono stanco, sai mamma?
Voglio soltanto fare la nanna...
Clipper mi piace,
è dolce e vivace,
ci siam fatti compagnia,
ma forse adesso mamma,
io vado via...
Non ho più fame di vita,
e neanche di pappa, anche se guarda,
guarda, la mangio,
se tu me la dai con le dita...
- Starai meglio presto, pepita.
- Mi vuol bene, è testarda,
quest'umana bugiarda.
- Pico!
- Mao...
- Pico, apri gli occhi, dimmi ciao!
-Sssssh...Silenzio. Ascolta.
- Cosa, micione? Sono altri animali
ammalati, chiamano il padrone...
- No. È una rivolta.
Contro questa prigione.
- Ma che prigione, è un pronto soccorso
veterinario, gattorso,
serve a guarire, a star bene...
- Guarda. Ho dei tubi
dentro alle vene.
- Ti puliscono il sangue micione,
ancora due giorni, un ultimo esame...
- Son qui da un mese!
- No Pico, da ieri.
Stai esagerando...
- Mi stan sradicando
perfino i pensieri.
- Ma io...
- Tra un miagolio
sarò tra i tuoi ieri.
- Pico!
- Lo so, ti fa male la fine,
ma credimi quando ti dico -
portami a casa.
La nostra casa quasi svuotata,
storia anche lei provvisoria
come tutto per noi tranne il poco,
la scintilla che avevamo da cuccioli
e che insieme dal buio abbiamo salvata.
- Dottoressa, se può far subito l'esame,
noi poi andiamo...
- Mao, non mi bucare la zampa.
Per favore. Non obbediamo.
- Dottoressa, si fermi, lasci stare...
...Grazie, ma noi adesso a casa
vogliamo tornare.
A passare abbracciati le ore.
Vieni, Picone, in prigione
non ti lascio mai più.
- Che succede, gattone?
- Mao.
- Non vuoi mangiare?
- ...
- Andiamo dal dottore,
continuiamo la cura...
- Non si cura, la vita-la morte.
Si vive-si muore, mamma,
non avere paura...
- No! Il dottor Angelo...
- Ha un nome adatto
a quello di cui avrà premura.
- No! Pico, il mio daìmon il mio
antichissimo amico...
- Mamma, stavolta dal veterinario
ti ci porto io.
- Non ancora...non è orario...
- Vieni, non fare storie.
- Ma...
- Sono già nella gabbietta.
- Aspetta!
- Mamma, ci siam detti tutto.
- Non è vero! Sei brutto
se te ne vai! Non devi capito,
non dovresti lasciarmi mai!
- Tutto non è abbastanza,
ma questo lo sai.
- ...
- Dammi retta.
- Giuda ballerino,
è un traditore, il mio felino...
- Forza. Portami fuori da questa stanza.
Voglio vedere il sole, ogni atomo
del tempo che avanza.
- Pico, oggi... È la presa della Bastiglia...
- E tu sei la mia famiglia.
E se aspettiamo insieme la morte
prendiamo anche lei di sorpresa,
con un ultimo guizzo ridiamo la resa,
la sorte, facciamo
questa rivoluzione.
- Pico?
- Mao?
- Ti resto accanto, gattone
ti canto
una canzone.
- Buonanotte, buonanotte, fiorellino...
- Mamma, è l' anestesia?
- Sì Picone, tra il mare e la stanza...
- Tutto il dolore si porta via...
- Ti ringrazio per avermi stupito...
- Sento che sei qui vicino...
- Pico, ecco i miei occhi, tienili fino
alla fine...E vicino non è ancora abbastanza...
- Mamma...Poi cosa succederà?
- Ti porto in un bosco, il Bosco in città, tra il telefono e il cielo...
- E cosa faccio, io?
- Ascolti le radici, ti trasformi, e l'anello resterà sulla spiaggia...
- Mi trasformo? Divento una farfalla?
- Eheh, quasi Pico, diventi erba, albero,
diventi lombrico, gli uccellini nel vento...
- Mao...Mi addormento...
- ...Non si fanno mai male...
- Confondo il dormire...col...Mao...Rire...
- E per fermarti, che posso dire? Hanno ali...
- Ma la nostra scintilla è stata speciale,
guarda ora brilla, e il solo reale
è l'amore, la scintilla mi porta
ad un altro partire,
morto vuol dire.
- Più grandi di me...
- Fffffrrrrrr...
- Pico, ho capito,
la vita-la morte è miscela,
io muoio, tu vivi, se allargo la tela,
ti lascio partire
ma vengo con te.
E dall'alba al tramonto...
Un occhio si è chiuso,
uno, ostinato, l'hai lasciato aperto.
Mi porti con te, nel cielo deserto?
...Sono soli nel sole...
L'Angelo è gentile. Ci lascia tutti e due.
Ti pulisco come se avesse senso.
Ti guardo e penso
ti avvolgo nel tuo lenzuolino
a fiori quasi come gli eroi,
ti prendo in braccio e poi,
...Buonanotte...
Ti riporto alla terra, ti restituisco,
disturbo insettini e radici e capisco,
dopo tutta una morte decisa
per istinto, per ragione animale,
per fidarti del mio amore troppo
troppo umano da tenere, ti tengo,
ancora ti ho in mano, ti sento già freddo
come le zolle che sposto,
e questo è il posto, stavolta
quasi per sempre, mio daìmon,
...Questa notte...
È per te.
lunedì 3 agosto 2015
preghiera (Signor Tamburino)
And take me disappearing
through the smoke rings of my mind,
down the foggy ruins of time,
far past the frozen leaves,
the haunted frightened trees,
out to the windy bench,
far from the twisted reach of crazy sorrow!
Yes, to dance beneath the diamond sky!
With one hand waving free,
silhouetted by the sea
circled by the circus sands,
with all memory of fate
driven deep beneath the waves,
let me forget about today
until tomorrow...
through the smoke rings of my mind,
down the foggy ruins of time,
far past the frozen leaves,
the haunted frightened trees,
out to the windy bench,
far from the twisted reach of crazy sorrow!
Yes, to dance beneath the diamond sky!
With one hand waving free,
silhouetted by the sea
circled by the circus sands,
with all memory of fate
driven deep beneath the waves,
let me forget about today
until tomorrow...
venerdì 24 luglio 2015
forte come la morte_14.07.15
"Pico è passato. Prenderlo in braccio, carezzarlo, metterlo per
l'ultima volta nel suo trasportino - quante volte avevo immaginato
quest'ultima volta, e improvvisamente lo era davvero, l'ultima, sebbene
nulla, nessuna caratteristica evidente la rendesse sensibilmente
diversa, o più definitiva delle altre - uscire, guardarlo guardarsi
intorno nella gabbietta - quante volte gli ho domandato "che pensi del mondo, fuori?" - arrivare dal veterinario, farlo uscire, sul
tavolo. Freddo. Per lui avevo solo mani, carezze, sorrisi, lacrime silenziose,
di più, sempre di più e singhiozzi e parole, e aggrapparmi alla sua
pelliccia e mettere il mio muso contro il suo. Prima c'è stata
l'iniezione che l'ha anestetizzato. Addormentandosi, con le pochissime
forze rimaste, mi ha fatto le fusa. E un piccolo ultimo bacio. L'ho
guardato negli occhi tutto il tempo, tutto il tempo, anche lui, così
profondo, un occhio gli è rimasto aperto. Ad un certo punto ho saputo
che non mi vedeva più. Iniezione letale. Il suo respiro, alzarsi ed
abbassarsi regolare della pancia, ho guardato il suo respiro rallentare,
rallentare, fermarsi. Poi, altro tempo, lungo, ad aspettare tutta la
Morte, ad aspettare, a carezzare, a piangere. Pico è morto. Avvolgere il
suo corpo completamente inerte nel suo lenzuolino preferito, metterlo
in una scatola di cartone e poi su Maggia, guidare con la mia amica
J - la mia amica, veramente - fino al parco di Trenno, prendere in mano la
scatola, una piccola pala, camminare nel parco, sentire, sentire la
scatola sempre più pesante, sempre di più.
Abbiamo trovato un piccolo gruppo di pioppi. Abbiamo scavato. Un signore è passato di lì con il suo cane. Non ci ha chiesto nulla. È stato difficile. Radici, pietre, resistenza di terra. La pala si è spezzata. Abbiamo continuato con solo la parte metallica, con le mani, abbiamo continuato sudando e maledicendo le zanzare e dandoci il cambio. Abbiamo strappato e deviato radici. Disturbato lombrichi e maggiolini. Abbiamo raccolto piccoli fiori.
Quando l'ho preso in braccio, il corpo di Pico nel lenzuolo era pesante e rigido, rigido, come di pietra.
L'ho adagiato nella buca, gli ho lasciato sopra i fiori. Poi l'ho ricoperto con una lastra di metallo, e con la terra e le pietre. La terra è rimasta un po' smossa, ma Pico era natura, finalmente. L'ho lasciato lì, in mezzo alle radici, e ho sentito...Che l'ho lasciato solo. Ho ancora questa sensazione addosso. Ho ancora la sensazione che lo rivedrò.
"Morire. Questo, a un gatto, non si fa", ha scitto una poetessa, e so perché."
da una mail al mio amico Y - il mio amico, veramente.
Abbiamo trovato un piccolo gruppo di pioppi. Abbiamo scavato. Un signore è passato di lì con il suo cane. Non ci ha chiesto nulla. È stato difficile. Radici, pietre, resistenza di terra. La pala si è spezzata. Abbiamo continuato con solo la parte metallica, con le mani, abbiamo continuato sudando e maledicendo le zanzare e dandoci il cambio. Abbiamo strappato e deviato radici. Disturbato lombrichi e maggiolini. Abbiamo raccolto piccoli fiori.
Quando l'ho preso in braccio, il corpo di Pico nel lenzuolo era pesante e rigido, rigido, come di pietra.
L'ho adagiato nella buca, gli ho lasciato sopra i fiori. Poi l'ho ricoperto con una lastra di metallo, e con la terra e le pietre. La terra è rimasta un po' smossa, ma Pico era natura, finalmente. L'ho lasciato lì, in mezzo alle radici, e ho sentito...Che l'ho lasciato solo. Ho ancora questa sensazione addosso. Ho ancora la sensazione che lo rivedrò.
"Morire. Questo, a un gatto, non si fa", ha scitto una poetessa, e so perché."
da una mail al mio amico Y - il mio amico, veramente.
sabato 4 luglio 2015
porka troika
Ce ne andiamo
per non darvi
altre preoccupazioni,
per non darvi
altre preoccupazioni,
scrissero quattro greche
prima di addormentarsi.
Ma ora può darsi
che voglian rialzarsi
gli Elleni,
da Elleni rifarsi
demo-potenza,
sventrare il potere,
rifare il sapere
esperienza
dell'altro, del Fuori,
a fuoco le banche,
altissimi i cuori
veloci, in alto le voci,
anarchia
è tachicardia,
e ochi,
che mica siam pochi,
noi ce ne andiamo
per non farci
impiccare intuizioni
e sopprimere sogni,
ce ne andiamo onirici,
tenetevi il resto
e tutti i bisogni,
tenetevi il resto
e tutti i bisogni,
e non aspettateci,
non torniamo presto
da voi, vivremo
lanthàno,
noi ricominciamo.
domenica 28 giugno 2015
mosca cieca
Porca realtà
precaria e sparsa
ti manifesti
nella scomparsa.
Porca materia, certezza
friabile
dovresti esser salda e
invece ti sfaldi,
stai muta sorridi e mi
guardi,
impenetrabile. Eppure
tutto era chiaro, tutto
era vero, mi sembra,
la natura e il mio sguardo,
ero io alla finestra,
eran mie quelle membra,
e cadeva la sera,
e pareva sincera,
ma ora è diverso, son perso
porca la nebbia, io cedo,
non so più cosa vedo!
Non somiglia più a nulla la
mia
visione fasulla,
possibile che
sul fondo degli occhi
io abbia soltanto dei
trucchi
di fantasia?
Tradimento!
Il trucco nasconde deserti
di sabbia e di vento,
per dimenticarne il tormento
li tengo ben chiusi,
i miei occhi aperti.
Ma senza ritocchi,
se non mi mento,
non vedo che pochi
miscugli atomici inerti,
fantasmi confusi.
Che siano altri uomini,
forse?
Altrettanto delusi?
Porca cecità,
in te è radicata
la mia verità,
nell'ignoranza ostinata
della sfumatura,
di quanto sia dura la
profondità.
Una tela mi è sempre
bastata,
perché la realtà disegnata
restava ben piatta, educata,
ben delimitata.
Ero io alla finestra, mi
sembra
e mia, la mia ombra,
ma non la riconosco,
più non mi appartiene,
la tela non tiene,
porca la nebbia che viene,
io non lo capisco
il mondo che ho nelle vene!
Dov'è questo corpo, la
stanza,
dov'è lo spazio
e il tempo che avanza?
Dove gli oggetti ordinati,
dove i miei volti più
amati?
Dove il mio dove, le prove
che tutti noi siamo nati?
Dov'è la pioggia che bagna
la generosa campagna?
Dove sarà la foresta
che poco fa mi chiamava?
Tutto era solo
nella mia testa
e già verso il niente
sfumava.
Non mi stai più nelle mani,
porca illusione presente!
Che posso dire, sei brava
quando mi fai inconsistente.
Che posso dire, che c'eri,
visioni, rumori, pensieri,
e mi facevi reagire,
potevo insultarti o gioire,
io ti chiamavo reale,
mio strano mutante animale.
Al buio e al silenzio sto
male,
se il mondo scompare son
solo,
la pioggia è finita,
oppure era finta,
mi hanno ingannato,
non sono nemmeno bagnato.
O forse più semplicemente
l'ho dimenticato.
Ricordo di quando
vagavo accecato
come una mosca in esilio,
perdevo gli amici,
restavano voci
che davano falso consiglio.
“Su vieni, son qua!”,
com'eran diverse le risa,
com'era stonata la mia
serietà,
cercavo fantasmi e lo
spettro ero io,
ero io
a non essere “qua”.
Al buio e al silenzio sto
male,
tornate da me, volti cari,
che possa vedervi più
chiari,
non continuate a scappare,
siatemi ancora compari
di gioco!
Almeno per poco!
Ho freddo.
Chi ha spento il mio fuoco?
Al buio e al silenzio sto
male,
per questo ho accettato
la grotta in cui mi hanno
legato,
per farmi scambiare il reale
con tremule ombre incastrate
su un solo fondale.
Funziona.
La finzione è buona.
La corda che mi han regalato
mi tiene da quando son nato
al riparo dal dubbio
tra quello che è vero
e quello che mi han
propinato,
una grotta mi è sempre
bastata:
la mia mente pian piano è
mutata,
non più ragione, ma
ragioniera
e questa prigione mi è
grata,
rassicurante barriera.
Porco calore di uomo,
che mi distrai dalle ombre!
Loro son belle, lontane,
pulite,
profuman di menta,
di niente,
di buono,
ma sento un calore di uomo,
viene da troppo vicino,copre
le ombre,
il buio e il silenzio,
come realtà che persiste,
anche se io non la guardo,
lei esiste.
Al buio e al silenzio sto
male,
al buio e al silenzio, 'sto
mare!
Non voglio toccargli le
onde,
non voglio sentirlo puzzare!
Mare Nostro,
che sei tra le Terre,
sia dimenticato il tuo nome,
svanisca il tuo segno,
sia matta la tua volontà,
come in Siria, così in
Libia,
e taci oggi il nostro sangue
umano,
e difendi per noi i nostri
egoismi,
come noi li difendiamo
contro i nostri debitori,
e non ci indurre in
migrazione,
ma liberaci dal mare,
amen.
giovedì 4 giugno 2015
preghiera notturna al mio daìmon
"Oh, aiutami a fare come si può!
Prenditi tutto quello che ho!
Insegnami le cose che ancora non so, non so!
E dimmi quante maschere avrai,
e quante maschere avrò.
Oh, aiutami a stare dove si può!
E prenditi tutto quello che ho!
Insegnami le cose che ancora non so, non so...
E dimmi quanto maschere avrai,
regalami i trucchi che fai,
insegnami ad andare dovunque sarai, sarò.
E dimmi quante maschere avrò.
Se mi riconoscerai,
dovunque sarò,
sarai. "
[L'Agnello di Dio, F. De Gregori]
Prenditi tutto quello che ho!
Insegnami le cose che ancora non so, non so!
E dimmi quante maschere avrai,
e quante maschere avrò.
Oh, aiutami a stare dove si può!
E prenditi tutto quello che ho!
Insegnami le cose che ancora non so, non so...
E dimmi quanto maschere avrai,
regalami i trucchi che fai,
insegnami ad andare dovunque sarai, sarò.
E dimmi quante maschere avrò.
Se mi riconoscerai,
dovunque sarò,
sarai. "
[L'Agnello di Dio, F. De Gregori]
martedì 2 giugno 2015
sono io
Non c'è rimedio, nessun rimedio,
mi hanno infuso la malattia mortale
alla nascita.
Ogni micro istante è soprattutto
uno in meno.
Non c'è rimedio, nessun rimedio,
lui quel venerdì ha preso la valigia,
mi è passato di fianco, mi ha sfiorato ridendo parole -
- le ho dimenticate -
io studiavo greco e non l'avrei rivisto.
Semplicemente così, senz'altro,
senza bisogno di alcun peso.
E ora, senza bisogno d'altro,
senza che undici anni significhino,
io resto qui,
mi infliggo questo dolore del ricordo
perché il dolore è l'unica cosa,
mi rimarrà finché avrò nervi per sentire.
Il dolore è l'unica cosa.
Il dolore è lui.
Il dolore sono io.
Non c'è rimedio, nessun rimedio,
lei si sta piegando, lei cade e io
non posso fermarla, semplicemente così,
senz'altro, cade nel nero e non posso fermarla,
e io, semplicemente,
me ne sto a mille chilometri mentre lei cade,
invece lei mi rialzava sempre,
ma io no,
me ne sto così, senza bisogno di alcun
motivo,
perché non ho motivo,
il motivo è Parigi.
Un suono antico,
di cui dimentico
e dimentico il senso.
Non c'è rimedio, nessun rimedio,
la città non esiste,
non esiste il futuro,
finisco qui,
ventisei anni e mezzo,
life is so long, ricordi?
Me lo ricordano i fantasmi,
quelli che respingevo, quelli che non
ascoltavo mai
ora ho tempo,
ora che ho finito il tempo,
avrò tempo per tutti loro finalmente,
per vivere nel fluido
nelle pieghe paradossali in cui tutto si mischia,
Mr Nobody finalmente,
non c'è rimedio, nessun rimedio,
finalmente!
Ho fallito, mi sbriciolo,
devo liberare
lo spazio che occupo,
scalcia e mi si ribella, non mi vuole più
lo spazio mi sbriciola,
e non c'è rimedio, nessun rimedio,
ma Cristo! Che faccia in fretta!
mi hanno infuso la malattia mortale
alla nascita.
Ogni micro istante è soprattutto
uno in meno.
Non c'è rimedio, nessun rimedio,
lui quel venerdì ha preso la valigia,
mi è passato di fianco, mi ha sfiorato ridendo parole -
- le ho dimenticate -
io studiavo greco e non l'avrei rivisto.
Semplicemente così, senz'altro,
senza bisogno di alcun peso.
E ora, senza bisogno d'altro,
senza che undici anni significhino,
io resto qui,
mi infliggo questo dolore del ricordo
perché il dolore è l'unica cosa,
mi rimarrà finché avrò nervi per sentire.
Il dolore è l'unica cosa.
Il dolore è lui.
Il dolore sono io.
Non c'è rimedio, nessun rimedio,
lei si sta piegando, lei cade e io
non posso fermarla, semplicemente così,
senz'altro, cade nel nero e non posso fermarla,
e io, semplicemente,
me ne sto a mille chilometri mentre lei cade,
invece lei mi rialzava sempre,
ma io no,
me ne sto così, senza bisogno di alcun
motivo,
perché non ho motivo,
il motivo è Parigi.
Un suono antico,
di cui dimentico
e dimentico il senso.
Non c'è rimedio, nessun rimedio,
la città non esiste,
non esiste il futuro,
finisco qui,
ventisei anni e mezzo,
life is so long, ricordi?
Me lo ricordano i fantasmi,
quelli che respingevo, quelli che non
ascoltavo mai
ora ho tempo,
ora che ho finito il tempo,
avrò tempo per tutti loro finalmente,
per vivere nel fluido
nelle pieghe paradossali in cui tutto si mischia,
Mr Nobody finalmente,
non c'è rimedio, nessun rimedio,
finalmente!
Ho fallito, mi sbriciolo,
devo liberare
lo spazio che occupo,
scalcia e mi si ribella, non mi vuole più
lo spazio mi sbriciola,
e non c'è rimedio, nessun rimedio,
ma Cristo! Che faccia in fretta!
martedì 26 maggio 2015
exporsi
- Λάθε βιώσας, ha detto Epicuro. Epicuro era un edonista, quindi faceva anche doni, tra le altre cose. Un donista part-time. Filosofo e donista, Epicuro, un generoso insomma, Epicuro. E. T. Curo, il fratello medico...anche lui, generoso, anche lui part-time, medico nel tempo libero, quando non mi alleno...Mi alleno e ti curo. E. T. Curo non era proprio terrestre: l'alieno E. T. Curo, mi alieno e ti curo, generosissimo, E. T. Curo. Ma soprattutto telefono casa. E ti curo. Multi-tasking. Che poi è un'idea intelligente in alcuni casi, se telefono casa e ti curo, una tasca per le pillole, il bisturi, una per il cellulare...Epicuro invece aveva un po' più di grilli per la testa, E. T. Curo solo uno, ma era parlante. Si chiamava Ugo. Ma si erano sbagliati all'anagrafe, oppure erano in vena di scherzi, oppure Ugo era un grillo parlante ma con un notevole difetto di pronuncia, e sul certificato di nascita avevano scritto UFO. Buffo. Epicuro invece, come tutti i filosofi e donisti e non, sognava di essere un supereroe, Epic Uro, una specie di moneta unica del futuro che come superpotere bruciava tutto quello che comprava. Perché a Epicuro piacevano le cose regalate e gli facevano orrore le cose comprate, amava i doni, non i soldi. I doni erano proprio la cosa che Epicuro amava di più al mondo. Beh, in realtà - ma quale?- Epicuro amava i doni e i donni, anche. E anche le uomine comunque gli stavano simpatiche. E i donni e le uomine amavano Epicuro e i suoi doni, e si amavano anche tra di loro, molto, ma senza l'oro, gratuitamente. Gratuita mente, senza mentire, e senza mentine, solo con cose veramente da mangiare, vera mente, o vera menta, ecco cosa facevano tutto il giorno gli epicurei. E ogni tanto collaboravano anche con E. T. Curo e gli e-ti-curerei, e gli davano un po' di coraggio, a questi e-ti-curerei, che erano eticissimi, se mi permettete - ma chi, mi permettete? A me chi? - il superlativo "erano", e quindi sempre esitanti davanti ai malati, sempre con mille paranoie, ma noiosissime, "E ti curerei, ma ti farei male", "E ti curerei, ma 'sta medicina fa schifo", "E ti curerei, ma non voglio invadere il tuo intimo batterico", "E ti curerei, ma rispetto l'ecosistema della tua flora intestinale"...
- Epicuro diceva Λάθε βιώσας, ma non lo diceva per fare la pubblicità del latte biologico. No, non aveva un'azienda di famiglia da mandare avanti, "Λάθε βιώσας, il latte che ti cura. Solo due Epic Uros al litro." Non allevava vacche, Epicuro. Allevava "va' che". "Va' che puoi pensare", "Va' che puoi smettere di avere paura di tutto", "Va' che finché sei vivo tu la morte non c'è", "Va' che gli dei han di meglio da fare", allevava va' che, "alé, va, va, che...". E allora perché mai Epicuro avrebbe dovuto dire Λάθε βιώσας se le vacche non c'entravano? Non c'entravano perché le parole di Epicuro non erano stalle. E neanche stelle. Perché voleva dire un'altra cosa. E cosa voleva dire? E cosa vuol dire questo? Perché diciamo - chi, diciamo, poi? Poi quando? A chi diciamo, poi? A chi diciamo "poi"? - che uno dice una cosa per dire un'altra cosa, ma allora non può direttamente dire la cosa che...Dipende. Dipende. Uno dipende, dalla cosa che vuole dire, da quella che dice, uno dipende dalle cose da dire, uno dipende da tutti gli altri, due...Anche.
- Ed il filosofo e donista (e non) voleva dire "Vivi nascosto", Λάθε βιώσας, "Osa il lato", "Osa a lato", come una nota a margine, che entra in collisione con il testo ma senza immischiarsi tra le righe, non leggere tra le righe, che son troppo pesanti, ma nota il margine, che di solito nessuno lo vede, e allora chiedi a nessuno di descrivertelo, notalo anche tu. E poi anche nota ad argine, difendi il tuo testo, difendi la tua testa, non fartela tagliare via, non vivere decapitato, ma capitato, capita, capita sul lato più estremo, non star sempre a cercare l'angolo, che il lato sarà anche parziale ma è onesto, stacci per un po', da un lato, dal tuo lato, e poi anche dall'altro, e non accecarti, non girare con i paraocchi. Che poi, con i paraocchi, girare non è proprio consigliato, o forse sì, gira, girati con i paraocchi, così puoi vedere lo stesso, ma non lo stesso, se ti giri con i paraocchi puoi vedere un altro, e allora notalo, nota di lato, di fianco, osserva. Gira con lo spara-occhi, guarda l'altro, l'oltre, l'over-three. Da tre in su, insomma, la società. Vivi anche la sua vita, mentre vivi la tua vita, vivi anche quella dell'altro, anche quella del margine, anche quella di nessuno, che lo vede. E se nessuno lo vede, che stai vivendo tutte queste vite, vuol dire che ti sei nascosto proprio bene, che di solito nessuno vede quello che tutti non vedono. Per vivere nascosto devi esporti sul margine estremo, devo espormi sul margine e tremo, che riguarda anche me, il margine mi guarda di nuovo, mi guarda di rimando, non come una vetrina ma come l'abisso. Quando tu ti esponi, io sono esposto. Sono ex posto, cioè non ho più un posto. Non ho nessun posto, quindi dove sono? Non mi trovo. Non ho più il posto che avevo. Ho perso il posto, sono disoccupato. E perché non è liberatorio, essere disoccupato? È una cosa che non riesco a capire, è un paradosso, come i cartelli di pericolo, quelli a triangolo, che ti segnalano un terreno accidentato quando guidi, e che però non servono a niente, perché tanto non è che se vedi il cartello puoi riasfaltarti da solo la strada, o tornare indietro. Come i cartelli "Pericolo caduta massi". Che il massi-mo che puoi fare è rassegnarti, "Pericolo caduta, massì...", o dire una preghiera, o la tua ultima parola, per sicurezza. Io per esempio ne ho sempre una di emergenza, nel caso morissi senza saperlo, ne ho una che dico sempre prima di andare a dormire, che non si sa mai. Pensa che orrore occuparsi di parole per tutta la vita e poi morire dopo aver detto, come ultima parola, come ultimo insieme sensato di fonemi, non so, "IRPEF". Oppure "IVA". Che ancora ti va anche bene, perché è anche un nome, magari ti va di culo che Iva è tua moglie, o tua sorella, e che le vuoi bene, allora sei fortunato. Ma "IRPEF". Chi è che si chiama Irpef? Un essere abominevole, di sicuro. Quasi peggio di "herpes", che almeno è per sempre, dicono. Pensa che umiliazione, che vergogna, voglio dire, va bene la morte, ma IRPEF...Dopo che hai vissuto in mezzo alle parole, come Sartre dice di se stesso in "Les Mots". Eh, lo dice Sartre, ma...Chi è che non vive in mezzo alle parole? Per le parole? Grazie alle parole? Non è Sartre, sono io, sei tu - tu chi, poi? Poi quando? Tu, adesso! - siamo noi che siamo autori, che non sono solo tori ululanti, siamo noi che siamo autodromi, affollati e rombanti di corse, continuamente. "Continua-mente" è un gioco, lo si fa tutti, uomine, donni, vecchi e bambini. Nessuno resta fuori (a vedere te che vivi di lato). Il continua-mente è il gioco della specie fiumana, la specie che scorre. Dalle scimmie in poi. Poi quando? Adesso. E adesso. E adesso. [E ad essa, anche, e anche a te, e anche a me, e anche agli altri.]
lunedì 25 maggio 2015
lost in traslation
La distanza tra le stanze è una vertigine
così grande che non posso parlarti.
Tutto andrebbe perduto comunque.
Resta solo il vento, l'albero fuori
dalla finestra, un vociare di bimbi
che non posso vedere.
Sono diventata
allergica alla primavera,
forse è il mio primo anno
di vera vecchiaia.
Sono diventata
spazio bianco.
così grande che non posso parlarti.
Tutto andrebbe perduto comunque.
Resta solo il vento, l'albero fuori
dalla finestra, un vociare di bimbi
che non posso vedere.
Sono diventata
allergica alla primavera,
forse è il mio primo anno
di vera vecchiaia.
Sono diventata
spazio bianco.
anestetico
Adesso è l'ora in cui ho
paura.
Cerco da ogni parte un volto amato,
anche solo immaginato.
Cerco un volto amato da ogni parte,
per chiedergli cose sparse
tipo Marte, tipo
Cerco da ogni parte un volto amato,
anche solo immaginato.
Cerco un volto amato da ogni parte,
per chiedergli cose sparse
tipo Marte, tipo
aiutami,
tipo
perdonami.Tipo portami, se puoi
perdonami.Tipo portami, se puoi
a(l) mare.
A negare di annegare.
A negare di annegare.
Adesso è l'ora in cui
vorrei credere
gli dei per poterli
pregare,
per poterli pagare.
Adesso è l'ora in cui mi franano parafrasi,
per poterli pagare.
Adesso è l'ora in cui mi franano parafrasi,
le perifrasi imparate
per scrivere mio padre.
Adesso è l'ira in cui
non si può andare né restare.
La Casa, la Strada...Ricordi? Ricordi? Sola, risponde le sponde
per scrivere mio padre.
Adesso è l'ira in cui
non si può andare né restare.
La Casa, la Strada...Ricordi? Ricordi? Sola, risponde le sponde
la mia eco. Ma
d'improvviso il dolore si fiacca.
Si fa basso, una tacca,
un ronzare di orecchie. Quale buon anestetico
mi somministri stavolta, corteccia vigliacca?
Non è gusto, sai.
Sarà anche antiestetico, ma
se mi togli il dolore
cosa resterà mai
Si fa basso, una tacca,
un ronzare di orecchie. Quale buon anestetico
mi somministri stavolta, corteccia vigliacca?
Non è gusto, sai.
Sarà anche antiestetico, ma
se mi togli il dolore
cosa resterà mai
del giorno che curva in
discesa? Far la spesa?
Non trovo nessuno.
martedì 5 maggio 2015
marinaio 655
Apri gli occhi, piccolina,
che la Terra s'avvicina.
La tua mamma ha scelto il Mare,
strano modo di cullare,
sei arrivata in mezzo a un viaggio,
tra i due mondi sei il passaggio.
Apri gli occhi, dolce figlia,
senti il ritmo della chiglia,
e quest'acqua mista a sale
che già sfiora le tue ciglia.
Nina, non dimenticare,
vita e morte puoi mischiare,
quando cresci non scordarti
che le onde san guidarti.
Pesciolino, sai migrare,
sai già il gioco delle parti,
io ti posso consolare,
è oceanico il mio amarti,
ma ogni volta che ti perdi, barra a dritta, marinaio, se ti scuci fa' i tuoi nodi
che la Terra s'avvicina.
La tua mamma ha scelto il Mare,
strano modo di cullare,
sei arrivata in mezzo a un viaggio,
tra i due mondi sei il passaggio.
Apri gli occhi, dolce figlia,
senti il ritmo della chiglia,
e quest'acqua mista a sale
che già sfiora le tue ciglia.
Nina, non dimenticare,
vita e morte puoi mischiare,
quando cresci non scordarti
che le onde san guidarti.
Pesciolino, sai migrare,
sai già il gioco delle parti,
io ti posso consolare,
è oceanico il mio amarti,
ma ogni volta che ti perdi, barra a dritta, marinaio, se ti scuci fa' i tuoi nodi
che sapranno ripararti.
Apri gli occhi, esploratrice,
Bettica è la tua nutrice,
la tua prima
luminosa
cicatrice.
Apri gli occhi, esploratrice,
Bettica è la tua nutrice,
la tua prima
luminosa
cicatrice.
venerdì 1 maggio 2015
lavorare al dì di festa
Chicago, primo
maggio 1886. Sabato. Oggi si lavora.
Come ogni altro
giorno, tranne forse la domenica, si lavora. Sveglia alle 4,
vestizione meccanica, al buio, la bocca che sa di stanchezza. Una
giovane coppia di sposi operai. La fabbrica ha già consumato gli
occhi e le mani di entrambi, lei cuce sempre la stessa borsa, lui
avvita sempre lo stesso bullone. Fuori di casa alle 4:30, le gambe
vanno da sole, i corpi si cercano ancora, assonnati, entrambi
avvertono una silenziosa protesta, tra il cuore e la testa, mentre si
allontanano.
Si rivedranno
soltanto quando la luce del giorno sarà già svanita, quando i
pensieri saranno disfatti, e sfinite le dita. Che oggi si lavora
dodici, quattordici, sedici ore, perché si è nati operai, e il
profitto del capo è l'unico scopo del mondo, il solo valore.
Chicago, primo
maggio 1886. Sabato. Succede qualcosa di strano. La giovane coppia
indugia sull'uscio di casa, si prende per mano. Sorridono, i cuori
battono forte, insieme. Hanno sentito davvero? Hanno capito bene?
Un coro di voci
riempie le strade:
“Otto ore di
lavoro, otto di svago, otto per dormire”.
Una matematica
semplice, giusta, pulita. La giovane coppia non va a lavorare, oggi
si manifesta,
si fa festa, si
lotta, si cambia la vita.
Seguono giorni duri,
il potere reagisce, la polizia apre il fuoco sulla folla, ci sono i
primi morti. Quando i poliziotti tentano di interrompere un comizio
di lavoratori, qualcuno reagisce lanciando una bomba. La giovane
coppia ha paura, lui la stringe a sé, “andrà tutto bene”. Ma la
repressione è spietata, le sedi delle associazioni dei lavoratori
vengono devastate, i dirigenti arrestati.
Undici novembre
1887. Venerdì. Quattro esponenti anarchici vengono impiccati in
carcere.
Martiri, loro
malgrado: i “Martiri di Chicago”.
Ma la giovane
coppia, adesso, ha imparato a sperare.
E primo maggio dopo
primo maggio, in tutto il mondo, lungo tutto il secolo breve, e oltre
e nonostante le sue tenebre, i lavoratori di tutto il mondo si
vestono a festa, si mostrano, tengono alta la testa. È bello
svegliarsi, riprender coscienza, è bello creare nuovi valori,
indipendenti dal capitale, è bello sentirsi più vasti, uomini e
donne, non solo operai, ma rivoluzioni in potenza. La giovane coppia
invecchia, per otto ore al giorno si gode un gioia ancestrale, fa
figli e fa piccole cose, impara a ballare.
Milano, primo maggio
2015. Venerdì.
E adesso?
Oggi c'è chi inizia
Expo, e chi chiede il permesso di non mettersi in vendita, di
iniziare un Universale diverso.
Ma che festa è,
questa lotta, per me? Cosa ci fa in manifestazione, la mia
generazione?
Cos'è, la Festa del
Lavoro, per chi da studente è passato troppo in fretta ad esser
ridotto all'etichetta più ingiusta, “disoccupato”?
Disoccupato. Inutile
umano, spreco di spazio, tempo buttato.
Così si sente, chi
ha perso il lavoro, chi mai l'ha trovato.
Una giovane coppia
di sposi senza lavoro è senza futuro, lui comprime il passato in
civì da inviare per farsi dire che sì, ha diritto ad esistere, lei
non sogna più niente, che i sogni l'han rosa come cianuro, non sa
più resistere, non bada più a quello che sente.
Disoccupati.
Perduti, delusi, destini imbrattati.
Ma disoccupati in
che cosa? Mi vien da gridare.
Amiamo, ridiamo,
sappiam cucinare.
Ma disoccupati in
che cosa, le nostre giornate son da mal di mare!
Corriamo, migriamo,
impariamo, ci curiamo del mondo, ce lo reinventiamo.
E anche se non
guadagniamo, comunque noi sopravviviamo!
Venerdì primo
maggio, Milano. Il lavoro è di tutti, il lavoro
di essere umani, noi
lo celebriamo!
Lavoro, non
sottomissione,
diritti, visioni,
persone,
impegno sensato,
passaggio
non da un salario ad
una pensione,
ma ad un collettivo
più saggio.
La giovane coppia
ora osa
arrossarsi le guance
di baci
e progetti vietati.
In questo, noi siamo
occupati,
nel nobilitarci le
ore, nel farne qualcosa
che prima non c'era,
ma senza comandi,
signore,
né i tuoi contanti.
In questo, noi siamo
occupati.
A restare vivi, ad
agire di cuore,
e non per il Dio
Plusvalore.
In questo, noi siamo
occupati.
Pensiamo per
ventiquattr'ore,
agiamo dell'altro,
cambiamo il messaggio!
Venerdì primo
maggio.
Chi è appassionato
è un lavoratore.
La lotta è cambiata
ma resta importante,
sensata,
il dì di festa
la festa non muore.
la festa non muore.
giovedì 30 aprile 2015
danzatrice stanca
Soltanto stamattina
seppellivamo i morti,
i gigli della guerra,
li mettevamo in orti
di fiori di brina
e di terra.
E guardali adesso,
terrore, i tuoi figli.
Portano addosso
un nuovo tremore
non visto,
germoglio imprevisto
di tempo promesso.
Volteggiano i volti,
le braccia son nude,
la pelle fa luce
ai capelli sciolti,
li guardo e ascolto la voce
che scorre sotto.
Sotto la festa,
la notte è aperta
e si allarga.
Sotto il vestito
son libera e vaga,
la mia carne fa luce
alla testa sciolta,
la mia carne felice,
l'angoscia è tolta
ora mi resta soltanto
ciò che m'importa.
Appoggio il peso stanco
a quest'angolo tranquillo.
Ho le mani piene
del ritmo che è stato,
la sinistra non tiene,
per poco non sviene
tanto forte ha suonato.
Mi grida ogni giuntura
sfinita abusata dal ballo,
che non ha più paura
di niente, mi cullo
mi affido imprudente
all'ebbrezza e alla cura
del branco.
Amici, voi siete belli
come foglie abbracciate,
come gioie sfiorate,
voi siete veri
come enormi castelli
di nebbia,
dipingo vetrate
di chiese inventate
con l'impronta dei vostri
scherzi acri,
effimeri eroi
scampati ai massacri,
e la cosa che conta,
di voi, di noi,
è quella più dubbia.
Il presente.
Qualcun altro lo sente?
Chissà. Questa gente
sottopelle, questi corpi
sono il mio,
e poi io,
mi attardo la fine
di questa nottata
è quasi “ho capito!” -
per ora -
è alba sgangherata,
son di nuovo innamorata.
martedì 21 aprile 2015
alle resistenze
https://www.youtube.com/watch?v=33-bMTOlvx0
(Niente poesia, questa volta. O forse, più di ogni altra.)
I miei amici di Oltreunpo' Teatro - piccola, coraggiosa, visionaria compagnia teatrale milanese - mi hanno chiesto di scrivere qualcosa sulla Resistenza. Qualcosa che trasformasse la semplice commemorazione in riflessione, in slancio nuovo, vivo e presente. Perché la cosa peggiore che possiamo fare alla storia dei partigiani, è limitarci a ripetercela sempre uguale: i nostri nonni, molto più giovani e spericolati di noi, quella storia l'hanno scritta rischiando tutto, e perché tutto cambiasse.
C'è una canzone brasiliana di Chico Buarque che si chiama "Apesar de você" ("Nonostante te"). C'è un ventennio fascista del quale ci dimentichiamo spesso. Dal 1964 al 1985 il popolo brasiliano ha subito una pesantissima dittatura militare. Ventun anni di governo delle gerarchie dell'esercito, ventun anni di repressione, soffocamento della libertà d'espressione, torture, sparizioni, propaganda, oscurantismo. Ventun anni sono tanti. "Apesar de você" è dedicata a Emílio Garrastazu Médici, uno dei più feroci dittatori di questo periodo, che ha governato il Brasile dal 1969 al 1974. Chico Buarque sceglie di scrivere con attenta finezza il testo di questo brano, per farlo passare attraverso le maglie della censura, e dichiara che il destinatario della canzone è "una donna troppo severa". Così, la canzone viene diffusa, e vende centomila copie, salvo poi essere ritirata dal mercato. Troppo tardi.
Tardi, perché ormai la smisurata euforia del pezzo di Buarque ha già invaso le strade, le case, le orecchie dei brasiliani, tardi, perché ormai il popolo, lo stesso popolo terrorizzato dal potere, ridotto al silenzio e all'autocensura, ha osato ridere in faccia al dittatore, ha osato ballargli davanti al grugno, facendo esplodere
tutto questo amore represso,
questo grido trattenuto
questo samba al buio.
Ormai le persone hanno avuto il coraggio di una provocazione che ha la forza dei fili d'erba,
tu che hai inventato la tristezza,
ora usa la gentilezza
per disinventarla.
E anche se ci vorranno ancora quindici anni perché la dittatura militare finalmente cada, Buarque, con una leggerezza e un'allegria straordinarie, con la dolcezza del samba della sua gente - disorientante, micidiale, se associata ad un canto di protesta, se appoggiata sulle labbra di un popolo violentemente oppresso - mette in parole due verità semplici, e pericolosissime per il potere: 1) le idee resistono alla repressione, e, lente ma inesorabili, trasformano il mondo; 2) la forza di un popolo unito e cosciente è quanto di più devastante possa esserci per i suoi oppressori:
Nonostante te
domani sarà
un altro giorno.
(...)
E come farai a zittirci,
se tutti in coro
ti cantiamo in faccia?
Nonostante te, provvisorio dominatore del mio mondo, il mio mondo brulica delle parole che tu non vorresti, dei simboli che hai estirpato.
Nonostante te, sprovveduto domatore di umani, ho cuore e ho mani per inventarmi domani. I cuori e le mani di tutti, della mia gente, tu invece hai solo una cella, minaccia continua e latente, un grande occhio vuoto che tutto registra e non sente più niente.
Nonostante te.
Nonostante voi, diffusori di terrore in HD, nonostante i bellissimi video e le teste finemente tagliate, nonostante le statue di Hatra - capolavori millenari, traccia di culture che la vostra stessa specie si è curata fino ad oggi di salvare dall'oblio - fatte a pezzi per la vostra idiozia, nonostante il vostro brutale oscurantismo e la vostra agghiacciante mancanza di ironia, io, curda siriana, musulmana e libera, sono ancora qui. Lotto contro il terrorismo con dignità e kalashnikov, di giorno ballo, di notte sparo. La democrazia è difficile, ma non importa, non la importo, me la faccio da me. Con le mie sorelle. Per tutti.
Nonostante voi, Guardie della Rivoluzione, corrotti difensori dello status quo, solerti impiccatori di tanti peccatori, nonostante l'estensione della rassegnazione del mio popolo - che è quella del deserto - io, giovane iraniano, agnostico e poeta, non mi censuro certo: io contrabbando cinema, e sto girando un film. Vi spiacerà, lo giuro. E riderò di voi.
Nonostante voi, mastodontici Stati che avete unito il mondo per meglio dividerlo, che combattete il terrore per mantenerlo, che avete preso in mano la penna della Storia, e vi siete scritti Buoni, e nonostante te, mega-corporazione globale, ipocrita sistema che pompa capitale e mi tratta da coglione - sorride e chiama "comfort" il mio sonno mentale, nonostante ogni dato rubato, stoccato, rivenduto all'ingrosso - chi sono, cosa faccio e dove sono stato (e ancora ci parlate di libero mercato!) - io, Cittadino Enne, ricorderò lo slancio di Cittadino Quattro, e di tanti altri eroi senza manie di protagonismo. Dimenticherò i nomi, le storie personali, ricorderò la lotta, i loro e i miei ideali. Il vecchio Cittadino Kane è fragile, nonostante tutto
e nonostante voi,
tutti noi ci mostriamo,
dubitiamo e critichiamo
i vostri Assoluti
esitiamo,
nonostante l'uragano
noi viviamo il cuore in mano
e così ci ricordiamo
riprendiamo
i sogni scaduti,
esistiamo
resistiamo. Mai ci avrete arresi e muti.
E adesso balliamo, balliamoci
sto samba,
altrimenti siam perduti.
Quando non rispettano la giustizia, che cosa sono gli Stati se non delle grosse bande di predoni? Perché anche le bande di briganti, che cosa sono, se non dei piccoli Stati? Una banda di criminali è pur sempre un gruppo di individui retto dal comando di un capo e vincolato da un patto sociale, e il bottino si divide secondo la legge della convenzione. Se poi la banda malvagia si ingrandisce con l'aggiungersi di uomini perversi, e poco a poco conquista territori, stabilisce residenze, occupa città e sottomette popoli, assume più apertamente il nome di Stato. Un gruppo di delinquenti, dunque, prende il nome di "Stato" non quando diminuisce la sua ambizione di possedere, ma quando aumenta la sua sicurezza di impunità. Così disse, con finezza e verità, un pirata catturato dalla flotta macedone ad Alessandro il Grande. Il re gli chiese che idea gli fosse mai saltata in testa, per arrogarsi il diritto di infestare il mare. E quello, con franca spavalderia: "La stessa che è saltata in testa a te per arrogarti il diritto di infestare il mondo intero; solo che io lo faccio con una piccola nave, e allora mi chiamano 'pirata', invece tu lo fai con un enorme esercito, e quindi ti chiamano 'imperatore'.
(Agostino, De Civitate Dei, IV)
(Niente poesia, questa volta. O forse, più di ogni altra.)
I miei amici di Oltreunpo' Teatro - piccola, coraggiosa, visionaria compagnia teatrale milanese - mi hanno chiesto di scrivere qualcosa sulla Resistenza. Qualcosa che trasformasse la semplice commemorazione in riflessione, in slancio nuovo, vivo e presente. Perché la cosa peggiore che possiamo fare alla storia dei partigiani, è limitarci a ripetercela sempre uguale: i nostri nonni, molto più giovani e spericolati di noi, quella storia l'hanno scritta rischiando tutto, e perché tutto cambiasse.
C'è una canzone brasiliana di Chico Buarque che si chiama "Apesar de você" ("Nonostante te"). C'è un ventennio fascista del quale ci dimentichiamo spesso. Dal 1964 al 1985 il popolo brasiliano ha subito una pesantissima dittatura militare. Ventun anni di governo delle gerarchie dell'esercito, ventun anni di repressione, soffocamento della libertà d'espressione, torture, sparizioni, propaganda, oscurantismo. Ventun anni sono tanti. "Apesar de você" è dedicata a Emílio Garrastazu Médici, uno dei più feroci dittatori di questo periodo, che ha governato il Brasile dal 1969 al 1974. Chico Buarque sceglie di scrivere con attenta finezza il testo di questo brano, per farlo passare attraverso le maglie della censura, e dichiara che il destinatario della canzone è "una donna troppo severa". Così, la canzone viene diffusa, e vende centomila copie, salvo poi essere ritirata dal mercato. Troppo tardi.
Tardi, perché ormai la smisurata euforia del pezzo di Buarque ha già invaso le strade, le case, le orecchie dei brasiliani, tardi, perché ormai il popolo, lo stesso popolo terrorizzato dal potere, ridotto al silenzio e all'autocensura, ha osato ridere in faccia al dittatore, ha osato ballargli davanti al grugno, facendo esplodere
tutto questo amore represso,
questo grido trattenuto
questo samba al buio.
Ormai le persone hanno avuto il coraggio di una provocazione che ha la forza dei fili d'erba,
tu che hai inventato la tristezza,
ora usa la gentilezza
per disinventarla.
E anche se ci vorranno ancora quindici anni perché la dittatura militare finalmente cada, Buarque, con una leggerezza e un'allegria straordinarie, con la dolcezza del samba della sua gente - disorientante, micidiale, se associata ad un canto di protesta, se appoggiata sulle labbra di un popolo violentemente oppresso - mette in parole due verità semplici, e pericolosissime per il potere: 1) le idee resistono alla repressione, e, lente ma inesorabili, trasformano il mondo; 2) la forza di un popolo unito e cosciente è quanto di più devastante possa esserci per i suoi oppressori:
Nonostante te
domani sarà
un altro giorno.
(...)
E come farai a zittirci,
se tutti in coro
ti cantiamo in faccia?
Nonostante te, provvisorio dominatore del mio mondo, il mio mondo brulica delle parole che tu non vorresti, dei simboli che hai estirpato.
Nonostante te, sprovveduto domatore di umani, ho cuore e ho mani per inventarmi domani. I cuori e le mani di tutti, della mia gente, tu invece hai solo una cella, minaccia continua e latente, un grande occhio vuoto che tutto registra e non sente più niente.
Nonostante te.
Nonostante voi, diffusori di terrore in HD, nonostante i bellissimi video e le teste finemente tagliate, nonostante le statue di Hatra - capolavori millenari, traccia di culture che la vostra stessa specie si è curata fino ad oggi di salvare dall'oblio - fatte a pezzi per la vostra idiozia, nonostante il vostro brutale oscurantismo e la vostra agghiacciante mancanza di ironia, io, curda siriana, musulmana e libera, sono ancora qui. Lotto contro il terrorismo con dignità e kalashnikov, di giorno ballo, di notte sparo. La democrazia è difficile, ma non importa, non la importo, me la faccio da me. Con le mie sorelle. Per tutti.
Nonostante voi, Guardie della Rivoluzione, corrotti difensori dello status quo, solerti impiccatori di tanti peccatori, nonostante l'estensione della rassegnazione del mio popolo - che è quella del deserto - io, giovane iraniano, agnostico e poeta, non mi censuro certo: io contrabbando cinema, e sto girando un film. Vi spiacerà, lo giuro. E riderò di voi.
Nonostante voi, mastodontici Stati che avete unito il mondo per meglio dividerlo, che combattete il terrore per mantenerlo, che avete preso in mano la penna della Storia, e vi siete scritti Buoni, e nonostante te, mega-corporazione globale, ipocrita sistema che pompa capitale e mi tratta da coglione - sorride e chiama "comfort" il mio sonno mentale, nonostante ogni dato rubato, stoccato, rivenduto all'ingrosso - chi sono, cosa faccio e dove sono stato (e ancora ci parlate di libero mercato!) - io, Cittadino Enne, ricorderò lo slancio di Cittadino Quattro, e di tanti altri eroi senza manie di protagonismo. Dimenticherò i nomi, le storie personali, ricorderò la lotta, i loro e i miei ideali. Il vecchio Cittadino Kane è fragile, nonostante tutto
e nonostante voi,
tutti noi ci mostriamo,
dubitiamo e critichiamo
i vostri Assoluti
esitiamo,
nonostante l'uragano
noi viviamo il cuore in mano
e così ci ricordiamo
riprendiamo
i sogni scaduti,
esistiamo
resistiamo. Mai ci avrete arresi e muti.
E adesso balliamo, balliamoci
sto samba,
altrimenti siam perduti.
Quando non rispettano la giustizia, che cosa sono gli Stati se non delle grosse bande di predoni? Perché anche le bande di briganti, che cosa sono, se non dei piccoli Stati? Una banda di criminali è pur sempre un gruppo di individui retto dal comando di un capo e vincolato da un patto sociale, e il bottino si divide secondo la legge della convenzione. Se poi la banda malvagia si ingrandisce con l'aggiungersi di uomini perversi, e poco a poco conquista territori, stabilisce residenze, occupa città e sottomette popoli, assume più apertamente il nome di Stato. Un gruppo di delinquenti, dunque, prende il nome di "Stato" non quando diminuisce la sua ambizione di possedere, ma quando aumenta la sua sicurezza di impunità. Così disse, con finezza e verità, un pirata catturato dalla flotta macedone ad Alessandro il Grande. Il re gli chiese che idea gli fosse mai saltata in testa, per arrogarsi il diritto di infestare il mare. E quello, con franca spavalderia: "La stessa che è saltata in testa a te per arrogarti il diritto di infestare il mondo intero; solo che io lo faccio con una piccola nave, e allora mi chiamano 'pirata', invece tu lo fai con un enorme esercito, e quindi ti chiamano 'imperatore'.
(Agostino, De Civitate Dei, IV)
venerdì 10 aprile 2015
il prossimo pretesto
e voi,
voi che eravate tutti fieri
dei miei bellissimi voti,
dove cazzo state adesso?
venite fuori, se avete coraggio!
venite, professori d'ogni era,
venite a ridirmi chi ero,
maestra Livia,
maestosa guerriera che forse
sei addirittura morta
come Bandiera - l'ultima foglia -
e senza salutarmi
per l'ultima volta,
professori sorridenti sulla soglia
di complimenti ai ricevimenti,
ma ditemelo in faccia,
che so' 'na poveraccia,
voi,
che mi avete condannata allo "spero",
obbedite o sparo! venite fuori,
uscite dalle ombre degli angoli,
uscitemi dai pori,
dalle pause caffè
e mostratevi!
e dimostratemi che ho torto!
e il perché!
e che avevate ragione!
io non ce l'ho, che strano,
quel quid che pensavate.
eh no. però. peccato.
c'ho solo un qui coglione,
e pure mutilato.
allora, che si fa?
in casi come questo?
quale sarebbe il piano?
il prossimo pretesto?
sparisco o me ne resto?
e dove, se vi piace?
ma no, ma no, ho capito.
voi non c'entrate più,
con me avete finito,
sono riassunta in "fu".
ora vi lascio in pace.
voi che eravate tutti fieri
dei miei bellissimi voti,
dove cazzo state adesso?
venite fuori, se avete coraggio!
venite, professori d'ogni era,
venite a ridirmi chi ero,
maestra Livia,
maestosa guerriera che forse
sei addirittura morta
come Bandiera - l'ultima foglia -
e senza salutarmi
per l'ultima volta,
professori sorridenti sulla soglia
di complimenti ai ricevimenti,
ma ditemelo in faccia,
che so' 'na poveraccia,
voi,
che mi avete condannata allo "spero",
obbedite o sparo! venite fuori,
uscite dalle ombre degli angoli,
uscitemi dai pori,
dalle pause caffè
e mostratevi!
e dimostratemi che ho torto!
e il perché!
e che avevate ragione!
io non ce l'ho, che strano,
quel quid che pensavate.
eh no. però. peccato.
c'ho solo un qui coglione,
e pure mutilato.
allora, che si fa?
in casi come questo?
quale sarebbe il piano?
il prossimo pretesto?
sparisco o me ne resto?
e dove, se vi piace?
ma no, ma no, ho capito.
voi non c'entrate più,
con me avete finito,
sono riassunta in "fu".
ora vi lascio in pace.
giovedì 9 aprile 2015
(dimostrazione) per Assurdo
Certe
mattine, ogni tanto,
mi post-pongo:
faccio vapore
delle mie ore
in campo lungo,
che troppo vicine
mi sembran formiche di pianto.
Perso.
C'è il come e c'è il perché.
C'è il treno delle tre.
Che passa anche attraverso
i miei giovedì magri.
Ogni tanto stacco tutti
mi post-pongo:
faccio vapore
delle mie ore
in campo lungo,
che troppo vicine
mi sembran formiche di pianto.
Perso.
C'è il come e c'è il perché.
C'è il treno delle tre.
Che passa anche attraverso
i miei giovedì magri.
Ogni tanto stacco tutti
i
quadri
che incorniciano risposte
scadute o malriposte,
scritte male. Sorrido.
Mi sposto, mi elido,
epocale epochè,
per far posto al vuoto
banale,
orrido vuoto che c'è.
Penso.
Mi mostro.
Che l'abisso ci guardi,
se è il solo
sussistere nostro.
Dimostro.
Dì, Mostro!
Com'è? Perché?
Per chi? Per me.
E solo per te,
ma anche per voi,
per noia - pardon, per noi,
ma noi chi, no, gli altri,
scaltri!
Per lei perle (ai porci), per lui
culi, per cui siam pari.
che incorniciano risposte
scadute o malriposte,
scritte male. Sorrido.
Mi sposto, mi elido,
epocale epochè,
per far posto al vuoto
banale,
orrido vuoto che c'è.
Penso.
Mi mostro.
Che l'abisso ci guardi,
se è il solo
sussistere nostro.
Dimostro.
Dì, Mostro!
Com'è? Perché?
Per chi? Per me.
E solo per te,
ma anche per voi,
per noia - pardon, per noi,
ma noi chi, no, gli altri,
scaltri!
Per lei perle (ai porci), per lui
culi, per cui siam pari.
Falsari.
Ripariamo i sessi!
No! Porco iato!
L'apparato riflessivo
si è intasato,
è troppo soggettivo,
va parafrasato!
Per quando? Rimando?
Persino per sempre,
per ora!
Però lavora,
perora la causa per soldi,
per sordi,
per fame e per fama,
perdiana.
Per fine mese o finire
'sta porca settimana.
Per amarmi davvero
o ammazzarmi per gioco,
per cose da poco.
Già perse?
Perbacco.
Reprimo
Ripariamo i sessi!
No! Porco iato!
L'apparato riflessivo
si è intasato,
è troppo soggettivo,
va parafrasato!
Per quando? Rimando?
Persino per sempre,
per ora!
Però lavora,
perora la causa per soldi,
per sordi,
per fame e per fama,
perdiana.
Per fine mese o finire
'sta porca settimana.
Per amarmi davvero
o ammazzarmi per gioco,
per cose da poco.
Già perse?
Perbacco.
Reprimo
per
prezzi modici
pericoli periodici.
Scacco.
Imparo per vivere
a perdere pezzi.
Per domani?
Perdonami!
Il pendolo si pente
periodicamente,
e io da perdente
ci appendo le mani
e la mente.
Dong.
E poi per esempio
persisto per finta,
per elisa e per dio,
per niente,
per conto mio.
pericoli periodici.
Scacco.
Imparo per vivere
a perdere pezzi.
Per domani?
Perdonami!
Il pendolo si pente
periodicamente,
e io da perdente
ci appendo le mani
e la mente.
Dong.
E poi per esempio
persisto per finta,
per elisa e per dio,
per niente,
per conto mio.
domenica 29 marzo 2015
mi son trattenuta
A
chi mi ha chiesto "che fai"
ho spesso risposto "io passo",
bizzarro incompleto equilibrio
smargiasso,
a metà tra una danza e una mano
di poker.
Insomma, la storia del sasso
che sempre rotola via
è il più facile asso,
lo sai,
la mia quieta anarchia.
Ma tu sei un Joker,
mi tieni lo stesso:
Bob Dylan è in vano.
Di solito il tempo mi porta
ben presto lontano,
che i bronchi e l'aorta nemmeno
si stringon la mano.
E invece stavolta
il vento e i rametti,
i corvi e il giardino,
la luce, la pioggia, Parigi
ci trovano ancora vicino.
Mi guardi, ti guardo,
non so come dirti
la gioia temuta, che sì,
ci trovo stupiti,
sorrido, poi azzardo
"Hai visto? Son qui.
Se sono cresciuta? Non so.
Mi son trattenuta."
Insomma, la storia del Joker
non so quanto regga,
che certo non siamo
due assi del poker.
Ma il bluff è riuscito.
E anche tra noi, ci illudiamo
di tutta una vita a venire,
ma in fondo sappiamo
che è fragile stare
e precario partire,
che oggi a tenerci
son le cose da fare,
le parole da dire
insieme al futuro,
ho spesso risposto "io passo",
bizzarro incompleto equilibrio
smargiasso,
a metà tra una danza e una mano
di poker.
Insomma, la storia del sasso
che sempre rotola via
è il più facile asso,
lo sai,
la mia quieta anarchia.
Ma tu sei un Joker,
mi tieni lo stesso:
Bob Dylan è in vano.
Di solito il tempo mi porta
ben presto lontano,
che i bronchi e l'aorta nemmeno
si stringon la mano.
E invece stavolta
il vento e i rametti,
i corvi e il giardino,
la luce, la pioggia, Parigi
ci trovano ancora vicino.
Mi guardi, ti guardo,
non so come dirti
la gioia temuta, che sì,
ci trovo stupiti,
sorrido, poi azzardo
"Hai visto? Son qui.
Se sono cresciuta? Non so.
Mi son trattenuta."
Insomma, la storia del Joker
non so quanto regga,
che certo non siamo
due assi del poker.
Ma il bluff è riuscito.
E anche tra noi, ci illudiamo
di tutta una vita a venire,
ma in fondo sappiamo
che è fragile stare
e precario partire,
che oggi a tenerci
son le cose da fare,
le parole da dire
insieme al futuro,
niente
patti o promesse
o destini da fuori,
solo i nervi, le dita
e al massimo i cuori.
E se adesso la gente
mi chiede "che fai"
con piacere io guardo
la risposta che muta,
perché a passo di danza io resto,
e il solo movente
è forte e modesto,
"mi son trattenuta".
o destini da fuori,
solo i nervi, le dita
e al massimo i cuori.
E se adesso la gente
mi chiede "che fai"
con piacere io guardo
la risposta che muta,
perché a passo di danza io resto,
e il solo movente
è forte e modesto,
"mi son trattenuta".
domenica 22 marzo 2015
frontiera
Da qualche parte tra le dita
stringo parole,
le tengo in vita.
Facile, quando lo spazio
passa tutto intorno,
facile quando lo spazio scorre
al posto del tempo,
il viaggio è il giorno
e mi calmo, non tento
più di sparire. Sento.
C'è un rumore di persone stanche,
luci al neon più franche
dei loro volti,
e poi un altro suono,
ieri sera mani bianche
raccoglievano Bufera
dentro a scatole di cera,
e di nuovo c'era anche
prima vera primavera.
E dice non si muore
di case svuotate,
famiglie lasciate
ancora, non uccide l'ultima ora
di amori appesi
ai rami a seccare,
non si muore, solo, ci si stacca.
Porca vacca.
Mi restano le mani
tese nei ricordi, e pure attese,
a salutare.
Facile, quando lo spazio apre
mondi possibili,
instabili, minimi
ma così simili
al presente rimandato,
ma per ora realtà,
incredibile equilibrio
rubato
di relatività.
Lo spazio è un fluido nuovo.
E' di neve e di bufera.
Il capo treno parla piano,
c'ha la voce da preciso,
un buon viaggio da lontano,
ma all'improvviso
ridacchia e ci propone
"un bel caffè e un sorriso".
Ma senti sto piacione,
dai, ok, ci provo,
gli credo e gli indovino
il viso.
Facile, la vita,
quand'è lo spazio a farla,
tra chili di chilometri di tempo -
sembra infinita -
le montagne stanno così in silenzio
che non si parla.
Bufera.
Tutti noi adesso
non lo sappiamo
ma impariamo
a passare.
Si spera.
Io non so cos'ho portato, cos'ho scordato
o che strumento s(u)ono adesso.
La musica promette tutto
poi dice ho già dato
e mi lascia, spesso
a metà.
Qui si sospira, si dorme,
qualcuno sbadiglia,
o starnutisce forte,
un giornale si scioglie
le pagine, finisce le scorte
dell'attualità.
Ed è quel che è, finalmente,
cioè quasi niente,
ma basterà.
stringo parole,
le tengo in vita.
Facile, quando lo spazio
passa tutto intorno,
facile quando lo spazio scorre
al posto del tempo,
il viaggio è il giorno
e mi calmo, non tento
più di sparire. Sento.
C'è un rumore di persone stanche,
luci al neon più franche
dei loro volti,
e poi un altro suono,
ieri sera mani bianche
raccoglievano Bufera
dentro a scatole di cera,
e di nuovo c'era anche
prima vera primavera.
E dice non si muore
di case svuotate,
famiglie lasciate
ancora, non uccide l'ultima ora
di amori appesi
ai rami a seccare,
non si muore, solo, ci si stacca.
Porca vacca.
Mi restano le mani
tese nei ricordi, e pure attese,
a salutare.
Facile, quando lo spazio apre
mondi possibili,
instabili, minimi
ma così simili
al presente rimandato,
ma per ora realtà,
incredibile equilibrio
rubato
di relatività.
Lo spazio è un fluido nuovo.
E' di neve e di bufera.
Il capo treno parla piano,
c'ha la voce da preciso,
un buon viaggio da lontano,
ma all'improvviso
ridacchia e ci propone
"un bel caffè e un sorriso".
Ma senti sto piacione,
dai, ok, ci provo,
gli credo e gli indovino
il viso.
Facile, la vita,
quand'è lo spazio a farla,
tra chili di chilometri di tempo -
sembra infinita -
le montagne stanno così in silenzio
che non si parla.
Bufera.
Tutti noi adesso
non lo sappiamo
ma impariamo
a passare.
Si spera.
Io non so cos'ho portato, cos'ho scordato
o che strumento s(u)ono adesso.
La musica promette tutto
poi dice ho già dato
e mi lascia, spesso
a metà.
Qui si sospira, si dorme,
qualcuno sbadiglia,
o starnutisce forte,
un giornale si scioglie
le pagine, finisce le scorte
dell'attualità.
Ed è quel che è, finalmente,
cioè quasi niente,
ma basterà.
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