Non ho più serbatoi di memoria.
Li ho riempiti tutti e poi svuotati,
come scatoloni di libri, ci trovi sempre dentro altro,
e non puoi davvero semplicemente traslocarli
e rimetterli sugli scaffali.
Non più commemorazioni
non ho più con me
orazioni per vite passate,
la vita si arrotola e i miei tralicci crollano
crollano
crollano
nessuno mi ha mai
vendemmiato.
L'ottobre passato
son partita quasi per niente,
solo per perdere tutto e imparare
da capo.
Il giorno dieci nove otto
era domenica,
e io l'ho contato via, ho scritto
ho scritto tutt'altro.
Ho scritto per te, come sempre,
ma senza mai dire, papà,
Dodici anni mi fanno
vergognare.
Il poco che so(no)
mi fa vergognare.
Eppure mi so abbastanza vecchia
per avere anche un po' tenerezza,
carezza beffarda ma buona,
senti un po' come suona
morire di under-dose
morire senza cose
morire così a un certo punto,
ma neanche, a una virgola,
andare via senza via, senza
farsi notare.
Perché poi morire,
un momento.
Son troppo ignorante
per finire, è ingombrante
un fiume senz'argine, un mare
questo mio margine
di miglioramento.
L'ottobre passato era domenica
e io me la sono presa,
libera, ho fatto la spesa da Freud
e mi sono sentita
misera e piccola e credo di non aver mai
riso tanto,
o tanto tremato, alla luce minima
della minuscola stanza.
L'ottobre passato
dieci nove otto
ho contato all'indietro come un mal di capo
danno, quasi mai terza persona plurale,
eh ma così non vale, non lo sostengo più,
sto sostantivo.
L'ottobre passato ho cantato
all'indietro tutte le poesie
e le pose che sapevo.
Mi rimanevano solo le posate,
quasi mai seconda persona plurale,
che male,
che fame.
C'è la psicanalisi e poi c'è Lione,
che non mi ha mai chiesto niente
e che manco mi conosceva.
C'è il Moi-peau e poi c'è
la divisione da sé,
il gesto di tracciarla
netta come una lama,
spessa come una lana
di ricordi di altre me,
la lana mi avvolge,
si avvolge nel mantello
è Batman
è proprio Batman
è proprio
è la pelle della mia specie,
la mia specie è debole, e soffre.
La mia fiamma è flebile, e s'offre.
Io questa lettera avrei voluto scrivertela a mano
a mano a mano,
ma tu non mi dai la mano e non torni vicino,
io resto tua foglia
senza giardino,
una senza famiglia,
una senza banda
e senza destino,
mi alzo al mattino e lo cambio,
senza scontrino.
C'è Lione e poi c'è il caffè
da immaginare
una crema di nulla col te
con tutti i miei giorni
da macinare.
Che fai? Come stai? Quando torni?
Di cosa ti fai questi giorni?
Attenta vai lenta attenta
agli attentati.
Li ho tentati tutti,
i comorti e i conati,
li ho aspettati e pianti
pianti tutta la notte,
ma come la canti la ninna nanna
ai condannati ?
Ma se dovesse restarmi un solo
ultimo giorno
mi spingerei dove non torno
- in collina.
Pelle della mia
pelle bambina,
pelle che era mia
pelle medicina,
ci hai lasciato la pelle e le stelle,
in collina, mi hai lasciato,
baustelle,
mi hai lasciato nella carne
questa tua reincarnazione,
ma che farne?
Io sono e non so
la tua narrazione.
Il codice, la fonte
l'informazione
mi salva e mi sconfigge,
la chiave, la consolazione
mi cade e mi ricade
dalla tasca,
la chiave trafigge,
tormenta, burrasca,
equazione irrisolta,
fodera bucata non tiene,
e la tua eredità di scorta
è un cappotto in rivolta.
ucronista

- iskariel
- Paris, France
- Gaia Barbieri nasce e vive nonostante tutto come il basilico a Lausanne, da trentaquattro anni e più che altro per curiosità. ...JeSuisUnAutre...
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