Soltanto stamattina
seppellivamo i morti,
i gigli della guerra,
li mettevamo in orti
di fiori di brina
e di terra.
E guardali adesso,
terrore, i tuoi figli.
Portano addosso
un nuovo tremore
non visto,
germoglio imprevisto
di tempo promesso.
Volteggiano i volti,
le braccia son nude,
la pelle fa luce
ai capelli sciolti,
li guardo e ascolto la voce
che scorre sotto.
Sotto la festa,
la notte è aperta
e si allarga.
Sotto il vestito
son libera e vaga,
la mia carne fa luce
alla testa sciolta,
la mia carne felice,
l'angoscia è tolta
ora mi resta soltanto
ciò che m'importa.
Appoggio il peso stanco
a quest'angolo tranquillo.
Ho le mani piene
del ritmo che è stato,
la sinistra non tiene,
per poco non sviene
tanto forte ha suonato.
Mi grida ogni giuntura
sfinita abusata dal ballo,
che non ha più paura
di niente, mi cullo
mi affido imprudente
all'ebbrezza e alla cura
del branco.
Amici, voi siete belli
come foglie abbracciate,
come gioie sfiorate,
voi siete veri
come enormi castelli
di nebbia,
dipingo vetrate
di chiese inventate
con l'impronta dei vostri
scherzi acri,
effimeri eroi
scampati ai massacri,
e la cosa che conta,
di voi, di noi,
è quella più dubbia.
Il presente.
Qualcun altro lo sente?
Chissà. Questa gente
sottopelle, questi corpi
sono il mio,
e poi io,
mi attardo la fine
di questa nottata
è quasi “ho capito!” -
per ora -
è alba sgangherata,
son di nuovo innamorata.
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