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Gaia Barbieri nasce e vive nonostante tutto come il basilico a Lausanne, da trentaquattro anni e più che altro per curiosità. ...JeSuisUnAutre...

tempi persi

venerdì 24 luglio 2015

forte come la morte_14.07.15

"Pico è passato. Prenderlo in braccio, carezzarlo, metterlo per l'ultima volta nel suo trasportino - quante volte avevo immaginato quest'ultima volta, e improvvisamente lo era davvero, l'ultima, sebbene nulla, nessuna caratteristica evidente la rendesse sensibilmente diversa, o più definitiva delle altre - uscire, guardarlo guardarsi intorno nella gabbietta - quante volte gli ho domandato "che pensi del mondo, fuori?" - arrivare dal veterinario, farlo uscire, sul tavolo. Freddo. Per lui avevo solo mani, carezze, sorrisi, lacrime silenziose, di più, sempre di più e singhiozzi e parole, e aggrapparmi alla sua pelliccia e mettere il mio muso contro il suo. Prima c'è stata l'iniezione che l'ha anestetizzato. Addormentandosi, con le pochissime forze rimaste, mi ha fatto le fusa. E un piccolo ultimo bacio. L'ho guardato negli occhi tutto il tempo, tutto il tempo, anche lui, così profondo, un occhio gli è rimasto aperto. Ad un certo punto ho saputo che non mi vedeva più. Iniezione letale. Il suo respiro, alzarsi ed abbassarsi regolare della pancia, ho guardato il suo respiro rallentare, rallentare, fermarsi. Poi, altro tempo, lungo, ad aspettare tutta la Morte, ad aspettare, a carezzare, a piangere. Pico è morto. Avvolgere il suo corpo completamente inerte nel suo lenzuolino preferito, metterlo in una scatola di cartone e poi su Maggia, guidare con la mia amica J - la mia amica, veramente - fino al parco di Trenno, prendere in mano la scatola, una piccola pala, camminare nel parco, sentire, sentire la scatola sempre più pesante, sempre di più.
Abbiamo trovato un piccolo gruppo di pioppi. Abbiamo scavato. Un signore è passato di lì con il suo cane. Non ci ha chiesto nulla. È stato difficile. Radici, pietre, resistenza di terra. La pala si è spezzata. Abbiamo continuato con solo la parte metallica, con le mani, abbiamo continuato sudando e maledicendo le zanzare e dandoci il cambio. Abbiamo strappato e deviato radici. Disturbato lombrichi e maggiolini. Abbiamo raccolto piccoli fiori.
Quando l'ho preso in braccio, il corpo di Pico nel lenzuolo era pesante e rigido, rigido, come di pietra.
L'ho adagiato nella buca, gli ho lasciato sopra i fiori. Poi l'ho ricoperto con una lastra di metallo, e con la terra e le pietre. La terra è rimasta un po' smossa, ma Pico era natura, finalmente. L'ho lasciato lì, in mezzo alle radici, e ho sentito...Che l'ho lasciato solo. Ho ancora questa sensazione addosso. Ho ancora la sensazione che lo rivedrò.
"Morire. Questo, a un gatto, non si fa", ha scitto una poetessa, e so perché."

da una mail al mio amico Y - il mio amico, veramente.

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