Mio caro, caro fantasma paterno.
Ti scrivo mentre mi scavo una nicchia, tra la veglia e il sonno, nella successione di questi movimenti planetari che ho smesso di chiamare giorni e notti.
Vorrei uscire da qui, e allora entro. Più sotto, più in fondo, perché la superficie è immensa, sterminata, e io non ce la faccio più a percorrerla, né a contenerla nel mio sguardo. Tutto mi penzola intorno, come se ogni cosa, come se ogni porzione di spazio e di tempo fosse esplosa, ma non completamente. Un'esplosione che si è sospesa, ci sono tanti fili, ogni filo tiene un pezzo di mondo nella sua fluttuante attesa della caduta, che non avviene.
La senti ?
Janis Joplin urla ancora, da qualche parte, poco lontano, eppure chi potrà mai testimoniare,
Ma non importa, fantasma papà, so che tu la senti ancora.
La superficie è crudele, accanita. E io non ce la faccio più a comprenderla.
Questa fluttuante attesa di caduta, che non mi tiene.
Mi sento come se scivolassi e scivolassi, senza progressione né continuità.
Eppure c'è qualcosa di vivo, nel freddo e nell'ebrezza serale.
C'è qualcosa di disperante e di aperto, di aperto in questa
solitudine abissale.
ucronista

- iskariel
- Paris, France
- Gaia Barbieri nasce e vive nonostante tutto come il basilico a Lausanne, da trentaquattro anni e più che altro per curiosità. ...JeSuisUnAutre...
tempi persi
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