ucronista

La mia foto
Paris, France
Gaia Barbieri nasce e vive nonostante tutto come il basilico a Lausanne, da trentaquattro anni e più che altro per curiosità. ...JeSuisUnAutre...

tempi persi

giovedì 30 aprile 2015

danzatrice stanca



Soltanto stamattina
seppellivamo i morti,
i gigli della guerra,
li mettevamo in orti
di fiori di brina
e di terra.


E guardali adesso,
terrore, i tuoi figli.
Portano addosso
un nuovo tremore
non visto,
germoglio imprevisto
di tempo promesso.
Volteggiano i volti,
le braccia son nude,
la pelle fa luce
ai capelli sciolti,
li guardo e ascolto la voce
che scorre sotto.


Sotto la festa,
la notte è aperta
e si allarga.
Sotto il vestito
son libera e vaga,
la mia carne fa luce
alla testa sciolta,
la mia carne felice,
l'angoscia è tolta
ora mi resta soltanto
ciò che m'importa.


Appoggio il peso stanco
a quest'angolo tranquillo.
Ho le mani piene
del ritmo che è stato,
la sinistra non tiene,
per poco non sviene
tanto forte ha suonato.
Mi grida ogni giuntura
sfinita abusata dal ballo,
che non ha più paura
di niente, mi cullo
mi affido imprudente
all'ebbrezza e alla cura
del branco.


Amici, voi siete belli
come foglie abbracciate,
come gioie sfiorate,
voi siete veri
come enormi castelli
di nebbia,
dipingo vetrate
di chiese inventate
con l'impronta dei vostri
scherzi acri,
effimeri eroi
scampati ai massacri,
e la cosa che conta,
di voi, di noi,
è quella più dubbia.


Il presente.


Qualcun altro lo sente?
Chissà. Questa gente
sottopelle, questi corpi
sono il mio,
e poi io,
mi attardo la fine
di questa nottata
è quasi “ho capito!” -
per ora -
è alba sgangherata,
son di nuovo innamorata.

martedì 21 aprile 2015

alle resistenze

https://www.youtube.com/watch?v=33-bMTOlvx0

(Niente poesia, questa volta. O forse, più di ogni altra.)

I miei amici di Oltreunpo' Teatro - piccola, coraggiosa, visionaria compagnia teatrale milanese - mi hanno chiesto di scrivere qualcosa sulla Resistenza. Qualcosa che trasformasse la semplice commemorazione in riflessione, in slancio nuovo, vivo e presente. Perché la cosa peggiore che possiamo fare alla storia dei partigiani, è limitarci a ripetercela sempre uguale: i nostri nonni, molto più giovani e spericolati di noi, quella storia l'hanno scritta rischiando tutto, e perché tutto cambiasse.

C'è una canzone brasiliana di Chico Buarque che si chiama "Apesar de você" ("Nonostante te"). C'è un ventennio fascista del quale ci dimentichiamo spesso. Dal 1964 al 1985 il popolo brasiliano ha subito una pesantissima dittatura militare. Ventun anni di governo delle gerarchie dell'esercito, ventun anni di repressione, soffocamento della libertà d'espressione, torture, sparizioni, propaganda, oscurantismo. Ventun anni sono tanti. "Apesar de você" è dedicata a Emílio Garrastazu Médici, uno dei più feroci dittatori di questo periodo, che ha governato il Brasile dal 1969 al 1974. Chico Buarque sceglie di scrivere con attenta finezza il testo di questo brano, per farlo passare attraverso le maglie della censura, e dichiara che il destinatario della canzone è "una donna troppo severa". Così, la canzone viene diffusa, e vende centomila copie, salvo poi essere ritirata dal mercato. Troppo tardi.

Tardi, perché ormai la smisurata euforia del pezzo di Buarque ha già invaso le strade, le case, le orecchie dei brasiliani, tardi, perché ormai il popolo, lo stesso popolo terrorizzato dal potere, ridotto al silenzio e all'autocensura, ha osato ridere in faccia al dittatore, ha osato ballargli davanti al grugno, facendo esplodere

tutto questo amore represso,
questo grido trattenuto
questo samba al buio.

Ormai le persone hanno avuto il coraggio di una provocazione che ha la forza dei fili d'erba,

tu che hai inventato la tristezza,
ora usa la gentilezza
per disinventarla.

E anche se ci vorranno ancora quindici anni perché la dittatura militare finalmente cada, Buarque, con una leggerezza e un'allegria straordinarie, con la dolcezza del samba della sua gente - disorientante, micidiale, se associata ad un canto di protesta, se appoggiata sulle labbra di un popolo violentemente oppresso - mette in parole due verità semplici, e pericolosissime per il potere: 1) le idee resistono alla repressione, e, lente ma inesorabili, trasformano il mondo; 2) la forza di un popolo unito e cosciente è quanto di più devastante possa esserci per i suoi oppressori:

Nonostante te
domani sarà
un altro giorno.
(...)
E come farai a zittirci,
se tutti in coro
ti cantiamo in faccia?

Nonostante te, provvisorio dominatore del mio mondo, il mio mondo brulica delle parole che tu non vorresti, dei simboli che hai estirpato.

Nonostante te, sprovveduto domatore di umani, ho cuore e ho mani per inventarmi domani. I cuori e le mani di tutti, della mia gente, tu invece hai solo una cella, minaccia continua e latente, un grande occhio vuoto che tutto registra e non sente più niente.

Nonostante te.

Nonostante voi, diffusori di terrore in HD, nonostante i bellissimi video e le teste finemente tagliate, nonostante le statue di Hatra - capolavori millenari, traccia di culture che la vostra stessa specie si è curata fino ad oggi di salvare dall'oblio - fatte a pezzi per la vostra idiozia, nonostante il vostro brutale oscurantismo e la vostra agghiacciante mancanza di ironia, io, curda siriana, musulmana e libera, sono ancora qui. Lotto contro il terrorismo con dignità e kalashnikov, di giorno ballo, di notte sparo. La democrazia è difficile, ma non importa, non la importo, me la faccio da me. Con le mie sorelle. Per tutti.

Nonostante voi, Guardie della Rivoluzione, corrotti difensori dello status quo, solerti impiccatori di tanti peccatori, nonostante l'estensione della rassegnazione del mio popolo - che è quella del deserto - io, giovane iraniano, agnostico e poeta, non mi censuro certo: io contrabbando cinema, e sto girando un film. Vi spiacerà, lo giuro. E riderò di voi.

Nonostante voi, mastodontici Stati che avete unito il mondo per meglio dividerlo, che combattete il terrore per mantenerlo, che avete preso in mano la penna della Storia, e vi siete scritti Buoni, e nonostante te, mega-corporazione globale, ipocrita sistema che pompa capitale e mi tratta da coglione - sorride e chiama "comfort" il mio sonno mentale, nonostante ogni dato rubato, stoccato, rivenduto all'ingrosso - chi sono, cosa faccio e dove sono stato (e ancora ci parlate di libero mercato!) - io, Cittadino Enne, ricorderò lo slancio di Cittadino Quattro, e di tanti altri eroi senza manie di protagonismo. Dimenticherò i nomi, le storie personali, ricorderò la lotta, i loro e i miei ideali. Il vecchio Cittadino Kane è fragile, nonostante tutto

e nonostante voi,

tutti noi ci mostriamo,
dubitiamo e critichiamo
i vostri Assoluti
esitiamo,
nonostante l'uragano
noi viviamo il cuore in mano
e così ci ricordiamo
riprendiamo
i sogni scaduti,
esistiamo
resistiamo. Mai ci avrete arresi e muti. 

E adesso balliamo, balliamoci
sto samba,
altrimenti siam perduti.




Quando non rispettano la giustizia, che cosa sono gli Stati se non delle grosse bande di predoni? Perché anche le bande di briganti, che cosa sono, se non dei piccoli Stati? Una banda di criminali è pur sempre un gruppo di individui retto dal comando di un capo e vincolato da un patto sociale, e il bottino si divide secondo la legge della convenzione. Se poi la banda malvagia si ingrandisce con l'aggiungersi di uomini perversi, e poco a poco conquista territori, stabilisce residenze, occupa città e sottomette popoli, assume più apertamente il nome di Stato. Un gruppo di delinquenti, dunque, prende il nome di "Stato" non quando diminuisce la sua ambizione di possedere, ma quando aumenta la sua sicurezza di impunità. Così disse, con finezza e verità, un pirata catturato dalla flotta macedone ad Alessandro il Grande. Il re gli chiese che idea gli fosse mai saltata in testa, per arrogarsi il diritto di infestare il mare. E quello, con franca spavalderia: "La stessa che è saltata in testa a te per arrogarti il diritto di infestare il mondo intero; solo che io lo faccio con una piccola nave, e allora mi chiamano 'pirata', invece tu lo fai con un enorme esercito, e quindi ti chiamano 'imperatore'.

(Agostino, De Civitate Dei, IV)

venerdì 10 aprile 2015

il prossimo pretesto

e voi, 
voi che eravate tutti fieri
dei miei bellissimi voti,
dove cazzo state adesso?
venite fuori, se avete coraggio!
venite, professori d'ogni era,
venite a ridirmi chi ero,
maestra Livia, 
maestosa guerriera che forse
sei addirittura morta
come Bandiera - l'ultima foglia -
e senza salutarmi
per l'ultima volta,
professori sorridenti sulla soglia
di complimenti ai ricevimenti,
ma ditemelo in faccia,
che so' 'na poveraccia,
voi,
che mi avete condannata allo "spero",
obbedite o sparo! venite fuori,
uscite dalle ombre degli angoli,
uscitemi dai pori,
dalle pause caffè
e mostratevi!
e dimostratemi che ho torto!
e il perché!
e che avevate ragione!

io non ce l'ho, che strano,
quel quid che pensavate.
eh no. però. peccato.
c'ho solo un qui coglione,
e pure mutilato.
allora, che si fa?
in casi come questo?
quale sarebbe il piano?
il prossimo pretesto?

sparisco o me ne resto?
e dove, se vi piace?

ma no, ma no, ho capito.
voi non c'entrate più,
con me avete finito,
sono riassunta in "fu".
ora vi lascio in pace.

giovedì 9 aprile 2015

(dimostrazione) per Assurdo

Certe mattine, ogni tanto,
mi post-pongo:
faccio vapore
delle mie ore
in campo lungo,
che troppo vicine
mi sembran formiche di pianto.

Perso.

C'è il come e c'è il perché.
C'è  il treno delle tre.
Che passa anche attraverso
i miei giovedì magri.
Ogni tanto stacco tutti
i quadri
che incorniciano risposte
scadute o malriposte,
scritte male. Sorrido.
Mi sposto, mi elido,
epocale epochè,
per far posto al vuoto
banale,
orrido vuoto che c'è.

Penso.

Mi mostro.
Che l'abisso ci guardi,
se è il solo
sussistere nostro.
Dimostro.
Dì, Mostro!

Com'è? Perché?
Per chi? Per me.
E solo per te,
ma anche per voi,
per noia - pardon, per noi,
ma noi chi, no, gli altri,
scaltri!
Per lei perle (ai porci), per lui
culi, per cui siam pari.
Falsari.
Ripariamo i sessi!

No! Porco iato!
L'apparato riflessivo
si è intasato,
è troppo soggettivo, 
va parafrasato!

Per quando? Rimando?
Persino per sempre,
per ora!

Però lavora,
perora la causa per soldi,
per sordi,
per fame e per fama,
perdiana.
Per fine mese o finire
'sta porca settimana.
Per amarmi davvero
o ammazzarmi per gioco,
per cose da poco.
Già perse?
Perbacco.

Reprimo
per prezzi modici
pericoli periodici.
Scacco.
Imparo per vivere
a perdere pezzi.

Per domani?
Perdonami!
Il pendolo si pente
periodicamente,
e io da perdente
ci appendo le mani
e la mente.
Dong.

E poi per esempio
persisto per finta,
per elisa e per dio,
per niente, 

per conto mio.

Lettori fissi