Non riesco a formulare un'introduzione coerente.
Ho ritrovato stralci di cose scritte negli ultimi anni, e mi sono resa conto dei pochi passi fatti in avanti, e dei molti indietro e in tondo, soprattutto.
L'Uroboro è molto soddisfatto e mi guarda sogghignando "Che ti dicevo, che ti dicevo?".
-Poco prima della Fine, i suoi passi.-
"Il sole non batte più forte sulla mia schiena. Sta tramontando. Qui sul ponte comincia a fare freddo. Mi sono seduta, poi mi sono raggomitolata a terra, per scaldarmi un po'.
Comincia a fare buio. Canticchio qualcosa per sentire meno il silenzio. Sogno qualcosa per sentire meno il non-senso. E il rumore del ponte che scricchiola. Il dolore, l'avevo già previsto, non ha importanza. Solo che il ponte sta per crollare, e io dovrei alzarmi e decidere. Ma non ne ho la forza. Sto qui, canticchio e tremo, e aspetto che, insieme al ponte, l'acqua gelida del fiume porti via anche me."
-Vigliaccheria.-
"E allora mi chiedo: che diavolo sto facendo? Perchè inizio sempre e non finisco mai? Scrivo, scrivo fiumi di puttanate inconcluse, ma non so rinunciare a questa dolcezza antica.
Kòsmos e Kàos non decidono
l'esito della loro partita.
Io attendo, sospesa."
-Solipsismo al limite.-
"Così torno a spremere queste povere sillabe inutili.
Spero in un'illuminazione filosofica
letteraria
divina
sciamanica
artistica
teologica...
Spero, come tutti, di non naufragare. In questo bianco di annegati.
Fili di me si sfilacciano, pigri e inesorabili. L'inutilità che nausea è la condizione invariata.
Così torno a torturare il tempo,
le sua pieghe di incubo, di sogno perso.
Concludo che l'egoismo è più forte di tutto,
due anime non possono toccarsi. Ma possono uccidersi.
Datemi un pozzo profondo d'oblio.
L'antica preghiera.
Due anime non possono capirsi, ma possono logorarsi.
Ognuna cristallizzata nel suo Dolore.
Ognuna muta e sorda.
L'antica speranza è bianca, come una primavera che non torna.
Si dice di amare. Ma non se ne è capaci. Si passa la vita
tra piccole tragedie private
ed enorme nulla.
La realtà è vuota, e se la ride. Di tutti.
Io non sento
nessuna appartenenza. Nessuna fratellanza.
Non sento universalità.
A lungo andare, essere singoli individui stanca, pesa, pesa come un macigno di diritti e di doveri
che non sai
chi ti ha dato, e perchè. E per farne cosa.
Coscienza,
coscienza individuale incerta di Giusto e Sbagliato, coscienza collettiva di gregge. Impecorita.
L'unica possibilità di Salvezza
sta nella cecità.
Ma io la rifiuto, la rifiuto,
e mi brucio gli occhi, e le vene sature.
E' possibile vivere senza dei e senza miti?
Nella consapevolezza del proprio non sapere, non potere, non arrivare?
Non arrivare mai all'Altro. Non vivere mai ciò che l'Altro vive. Non si rischia di ammattire, di ritirarsi in volontario esilio, pur di smettere subito la patetica finzione di una qualche sumpàtheia?
Amico mio, amore mio, figlio mio...Quante immagini di cartavelina.
Dov'è, l'essenziale?
Se alla fine contano soltanto i mind-gorillas.
E ogni miracoloso rapporto umano che si compone di assoluto,
ogni inaudita lacerazione nella maglia naturale
che fa passare, fa esistere, due esseri che
(al di là di ogni meschinità, interesse, parzialità, compromesso,
al di là di ogni tornaconto,
di ogni insano desiderio di cambiarsi,
di plasmarsi a vicenda in qualche cosa d'altro (di più facile da amare!)),
sono davvero legati in un solo sentire...Viene reciso. Reciso, interrotto, mutilato.
E avanti così, in un labirinto di Essenze dimezzate, illuse che il Gioco di Prestigio della comunicazione possa davvero renderle meno sole...E anche la mia.
Anche la mia sconosciuta, latente essenza, combatte per non dimenticare chi è,
pur sapendo già
che già non lo sa più..."
-Alcohol, Shakespeare e macabre danze sui resti del mio cervello.-
"Scrivo se no tra qualche ora non ricordo.
Sono ubriaca.
Sono felice.
Sono colpevole.
Sono sbagliata,
non sono programmata
per vivere
fino a domattina.
Mento dicendo il vero.
Sono overthrown,
over sconvolta
ormai sovvertita
ormai a pezzi
ormai perduta e cattiva.
Non spero di migliorare
non spero più
vorrei ballare e cantare stanotte
e bere ancora.
Non credo di poter dormire, come Macbeth con le mani,
DI CHI SONO QUESTE MANI?
DI CHI QUESTA ANIMA?
Dov'è la mia essenza?
Dispersa
dimenticata
un po' a te, un po' a te,
eccomi qua
ora potete odiarmi e farmi vedere l'effetto che fa,
eccomi qua
questa è la verità
salvatevi da me
salvatemi da me
per favore
per favore
andate lontani e lasciate che io
mi disintegri da sola
lasciate che anneghi, questo guanto,
voglio soltanto il mare a guardarmi.
(eppure vi chiedo di restare e capire, vi imploro di non cacciarmi via dalla vostra vita, perchè la mia è tanto inutile e io senza di voi sono tanto triste; eppure vi chiedo di non odiarmi anche se sono così orrenda e piena di sangue io spero che voi vediate ancora il mio volto oltre la nebbia degli atti sconnessi...)
Come se avessi perso il mio viso,
come se un pugno troppo forte me lo avesse sconvolto per sempre,
non so più guardarmi
non so più nulla di me
non mi voglio più,
oh, se stanotte mi inghiottisse
allora sì che dormirei felice.
Ma ho ucciso il sonno! Ho ucciso il sonno!"
ucronista

- iskariel
- Paris, France
- Gaia Barbieri nasce e vive nonostante tutto come il basilico a Lausanne, da trentaquattro anni e più che altro per curiosità. ...JeSuisUnAutre...
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
Nessun commento:
Posta un commento