ucronista

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Paris, France
Gaia Barbieri nasce e vive nonostante tutto come il basilico a Lausanne, da trentaquattro anni e più che altro per curiosità. ...JeSuisUnAutre...

tempi persi

mercoledì 18 novembre 2020

Quasi niente

Dopo seicento quasi pagine

mi fa male la scrittura, 

fragile struttura

che non mi tiene più.

Assuefatta.

Negazione è quasi vita,

resistere - esistere.

Ma io sono stanca, amore, stanca.

Non potremmo soltanto restare ?

Nudi a far l'amore e a fumare,

ma insieme.

Se tu lo fai solo, io con chi ?

Dove vado, dove me ne scompaio quasi io -

qui, nel mal di testa e nel pallore, le occhiaie di un volto.

Chi è l'immagine nello specchio ?



domenica 3 maggio 2020

settanta ventotto aprile

Questo corpo
con la fronte ardente e le dita gelide
è un corpo che trema
da dentro a dentro
in esilio dal fuori

povero corpo
come ti faccio male

il cuore è l'unico pezzo
che continua vivo
animale piccolo selvatico
furtivo in agguato nel bosco
prende il poco che c'è gioisce
si dona ancora ancora

Ancora scrivo eppure
dev'essere questo il laccio
che per davvero non sciolgo
l'anelito la rivoluzione
se fuori abbandono
qui resisto
fino all'ultimo istante

Ti parlo allora ancora da dentro
cassa di risonanza che sola insiste
a contenerci tutti e due
viva e morto e il contrario
ci sono mondi in cui ci riabbracciamo?

Se si tratta di io
finisco sempre per vergognarmi
c'è davvero poco
tu meritavi un'erede
meno disperata
ma forse allora avrebbe dovuto
amarti di meno
forse dovevi
amarmi di meno

Se si tratta di noi
sono squarciata e fiera
papà
ma questa parola significa?
Papà oso chiamarti nonostante
sedici anni e più
di onoratissimo orfelinato
è il cuore sai che non si arrende
credo voglia battere anche per il tuo
che domenica invece ha ceduto
si è strappato strappato
il tuo cuore domenica
sono rimasta io

a farti tanti auguri per i tuoi settant'anni
tondi tondi oggi
non avrai mai l'età
per essere vecchio
eri bianco bianco
dopo la tua guerra
forse avevi capito
ma non me l'hai detto

Io passo la vita a scrivere
e abbraccio come albero a rami spalancati
passo la vita sottovoce
sottovoce gridare e infrangere
Penelope ha aspettato vent'anni
tessere e disfare
l'abito funebre nuziale
tessere e disfare
ingannare il succedersi dei giorni
tessere e disfare

non è pazienza
è condanna ad amare

Papà non avrò un figlio
non l'avevo mai immaginato
che quel rifiuto per brutto tempismo
fosse rinuncia alla follia di generare
speravo tanto poter parlare
di te a tua nipote
sarebbe stata un'irriverente
con gli occhi gialli come i tuoi
e io già l'aspettavo

Adesso credo che non verrà
povero corpo mio è malato
forse non saprà tenerla
farsi rifugio robusto per lei

Non avrò un figlio papà  
e da quando l'ho saputo
faccio come se niente fosse
ma mi spezzo e affondo come barca
barca cede e mare inghiotte

Non è mica colpa del mare
se tra noi umani ci si lascia
annegare








la chiamo libertà

Ho creduto che la parola
fosse energia che di voce in voce
desse una forma abitabile al mondo,
trasformasse gli altri in vicini.

La parola è caduta,
trafitta
da menzogne umane,
troppo umane.

Ho sperato che l'amicizia
tenesse insieme i miei stralci coi vostri,
come spago robusto tiene
tutto il tempo della traversata.

L'amicizia è dissolta
in pallidi gesti,
ché il tempo nostro
è tempo della fine.

Mi è sembrato che l'amore
significasse meraviglia di sguardo,
passo vivo, corsa e capriola,
gioia grande, aperta avventura.

L'amore è sfinito
sciolto nella pioggia,
nessuno ha pensato
a metterlo al riparo.

Traverso allora da sola
quest'ora logora e vuota,
e per non morirne
la chiamo libertà.

sabato 25 aprile 2020

Domiciliari

Le porte del tempo
aprono e chiudono dentro
questo ritmo del sempre uguale,
scendi le scale, sali
le scale.

E la finestra
verso il cielo
stavolta spero sia almeno
quello vero,
ma la finestra
mostra e tace
scoperchia il fuori
finché così le piace.

Porte, finestra, muri, giardino,
gatto
sul tetto.
Alberi, fiori, erbe, insetti,
vicini, parenti stretti,
quelli che mai avevo il tempo di vedere
e allora, piacere, Gaia, piacere,
acero, timo, rosmarino, rododendro,
fragoli, fagioli, pomodori,
roseto, fave, piselli, allori.
Le melanzane è ancora presto,
il fico invece è meno modesto,
il merlo viene, saltella lesto,
con le cime di rapa ci faccio il pesto

e sempre gatto
sul tetto.

Non so più,
vivevo in un vortice,
con mani di forbice,
qui ci sei tu,
e i nostri amici cari,
compagni rari
di traversata,
se son condannata
ai domiciliari
è meglio con voi,
Sì, è bello con voi.

domenica 15 marzo 2020

L'incidente

Dovrebbe essere il titolo di uno spettacolo
che parla di un matrimonio,
così dicevamo con P.
Io al matrimonio non ci ho mai creduto,
mai ho ceduto
al suo marketing,
l'incidente invece non si vende
ma accade.
Ma adesso sposarsi è vietato,
anche spostarsi,
adesso si muore fermi,
di una morte secca e senza lutto,
si muore in quarantena.
Vietato vedere, toccare i corpi,
incontrare i vecchi,
vietati gli abbracci,
guai perturbare
con pianto
le solitudini.
Non si sa per quanto,
congela la mente,
questa è l'essenza
dell'incidente.
La paura ci abitua,
educazione alla distanza,
la tecnologia ci aveva
allenati.
Allineati, attendiamo il nostro turno,
per fare cosa,
la spesa o il malato ?
Intubato ?
Dicevano che era solo una brutta influenza,
avevano ragione, ma non capivano
quale fosse, questa influenza,
non quella degli acciù,
ma la conseguenza
del "o io, o tu",
quella della finanza
sulla politica,
quella della mafia
sullo stato,
quella dello stato
sulla salute pubblica
e guarda in che stato.
Una brutta influenza,
questa pubblica
malattia.
Capita, capita,
che ci vuoi fare,
che in tutti i modi
dovrai pur trapassare,
vecchi, malati, fragili, soli,
è un virus che sa
dove sbancare.
Capitalista, quest'influenza,
di chi non produce
meglio far senza,
tutto immediato,
conoscenza
ridotta a dato,
tranne il virus
non ci trasmettiamo più niente.
Eppure l'incidente
non ha mai un solo vettore,
e queste ore lente
forse sussurrano
come un morente,
sussurrano piano
"guarda, il vicino
ha acceso la luce,
forse sta cucinando
gli spaghetti sta pensando
i tuoi stessi pensieri,
ascolta, qualcuno di sopra
sta piangendo, ma c'è una voce
che lo consola, forse un bambino,
senti, nelle mani hai vertigini
di vuoto e d'assenza,
chi ti riempiva, prima, le dita ?".
Le ore spendono
l'ultima voce terrestre,
la stessa che infinite volte
ha voluto avvertirci che è grave
morire senza mai
esser stati in vita,
adesso la voce è leggera,
sospesa come noi,
e l'aria ridiventa pura,
e l'acqua ridiventa limpida,
e i paesaggi riprendono
disumana fierezza,
quasi Gaia ci dicesse
"vedete, senza voi,
come faccio presto.
Torno bella",
quasi ci chiedesse
"cosa decidete ?
Qual'è l'incidente ?
La vita, il virus, o voi ?
Cosa decidete ?
Imparate ? Questa volta ?".

L'incidente, è che ci troviamo
soli,
senza più riti, massacrati i miti,
connessi al potere, senza rizomi,
immemori di tutto, persi nei nomi,
l'incidente è un'occasione micidiale
di ritrovare il coro
della specie nostra,

e prima del collasso,
nell'ultimo ospedale,
il cuore tremante
del teatro
rianimare.




















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