ucronista

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Paris, France
Gaia Barbieri nasce e vive nonostante tutto come il basilico a Lausanne, da trentaquattro anni e più che altro per curiosità. ...JeSuisUnAutre...

tempi persi

martedì 26 maggio 2015

exporsi

Λάθε βιώσας, ha detto Epicuro. Epicuro era un edonista, quindi faceva anche doni, tra le altre cose. Un donista part-time. Filosofo e donista, Epicuro, un generoso insomma, Epicuro. E. T. Curo, il fratello medico...anche lui, generoso, anche lui part-time, medico nel tempo libero, quando non mi alleno...Mi alleno e ti curo. E. T. Curo non era proprio terrestre: l'alieno E. T. Curo, mi alieno e ti curo, generosissimo, E. T. Curo. Ma soprattutto telefono casa. E ti curo. Multi-tasking. Che poi è un'idea intelligente in alcuni casi, se telefono casa e ti curo, una tasca per le pillole, il bisturi, una per il cellulare...Epicuro invece aveva un po' più di grilli per la testa, E. T. Curo solo uno, ma era parlante. Si chiamava Ugo. Ma si erano sbagliati all'anagrafe, oppure erano in vena di scherzi, oppure Ugo era un grillo parlante ma con un notevole difetto di pronuncia, e sul certificato di nascita avevano scritto UFO. Buffo. Epicuro invece, come tutti i filosofi e donisti e non, sognava di essere un supereroe, Epic Uro, una specie di moneta unica del futuro che come superpotere bruciava tutto quello che comprava. Perché a Epicuro piacevano le cose regalate e gli facevano orrore le cose comprate, amava i doni, non i soldi. I doni erano proprio la cosa che Epicuro amava di più al mondo. Beh, in realtà - ma quale?- Epicuro amava i doni e i donni, anche. E anche le uomine comunque gli stavano simpatiche. E i donni e le uomine amavano Epicuro e i suoi doni, e si amavano anche tra di loro, molto, ma senza l'oro, gratuitamente. Gratuita mente, senza mentire, e senza mentine, solo con cose veramente da mangiare, vera mente, o vera menta, ecco cosa facevano tutto il giorno gli epicurei. E ogni tanto collaboravano anche con E. T. Curo e gli e-ti-curerei, e gli davano un po' di coraggio, a questi e-ti-curerei, che erano eticissimi, se mi permettete - ma chi, mi permettete? A me chi? - il superlativo "erano", e quindi sempre esitanti davanti ai malati, sempre con mille paranoie, ma noiosissime, "E ti curerei, ma ti farei male", "E ti curerei, ma 'sta medicina fa schifo", "E ti curerei, ma non voglio invadere il tuo intimo batterico", "E ti curerei, ma rispetto l'ecosistema della tua flora intestinale"...    
Epicuro diceva Λάθε βιώσας, ma non lo diceva per fare la pubblicità del latte biologico. No, non aveva un'azienda di famiglia da mandare avanti, "Λάθε βιώσας, il latte che ti cura. Solo due Epic Uros al litro." Non allevava vacche, Epicuro. Allevava "va' che". "Va' che puoi pensare", "Va' che puoi smettere di avere paura di tutto", "Va' che finché sei vivo tu la morte non c'è", "Va' che gli dei han di meglio da fare", allevava va' che, "alé, va, va, che...". E allora perché mai Epicuro avrebbe dovuto dire Λάθε βιώσας  se le vacche non c'entravano? Non c'entravano perché le  parole di Epicuro non erano stalle. E neanche stelle. Perché voleva dire un'altra cosa. E cosa voleva dire? E cosa vuol dire questo? Perché diciamo - chi, diciamo, poi? Poi quando? A chi diciamo, poi? A chi diciamo "poi"? - che uno dice una cosa per dire un'altra cosa, ma allora non può direttamente dire la cosa che...Dipende. Dipende. Uno dipende, dalla cosa che vuole dire, da quella che dice, uno dipende dalle cose da dire, uno dipende da tutti gli altri, due...Anche. 
Ed il filosofo e donista (e non) voleva dire "Vivi nascosto",  Λάθε βιώσας, "Osa il lato", "Osa a lato", come una nota a margine, che entra in collisione con il testo ma senza immischiarsi tra le righe, non leggere tra le righe, che son troppo pesanti, ma nota il margine, che di solito nessuno lo vede, e allora chiedi a nessuno di descrivertelo, notalo anche tu. E poi anche nota ad argine, difendi il tuo testo, difendi la tua testa, non fartela tagliare via, non vivere decapitato, ma capitato, capita, capita sul lato più estremo, non star sempre a cercare l'angolo, che il lato sarà anche parziale ma è onesto, stacci per un po', da un lato, dal tuo lato, e poi anche dall'altro, e non accecarti, non girare con i paraocchi. Che poi, con i paraocchi, girare non è proprio consigliato, o forse sì, gira, girati con i paraocchi, così puoi vedere lo stesso, ma non lo stesso, se ti giri con i paraocchi puoi vedere un altro, e allora notalo, nota di lato, di fianco, osserva. Gira con lo spara-occhi, guarda l'altro, l'oltre, l'over-three. Da tre in su, insomma, la società. Vivi anche la sua vita, mentre vivi la tua vita, vivi anche quella dell'altro, anche quella del margine, anche quella di nessuno, che lo vede. E se nessuno lo vede, che stai vivendo tutte queste vite, vuol dire che ti sei nascosto proprio bene, che di solito nessuno vede quello che tutti non vedono. Per vivere nascosto devi esporti sul margine estremo, devo espormi sul margine e tremo, che riguarda anche me, il margine mi guarda di nuovo, mi guarda di rimando, non come una vetrina ma come l'abisso. Quando tu ti esponi, io sono esposto. Sono ex posto, cioè non ho più un posto. Non ho nessun posto, quindi dove sono? Non mi trovo. Non ho più il posto che avevo. Ho perso il posto, sono disoccupato. E perché  non è liberatorio, essere disoccupato? È una cosa che non riesco a capire, è un paradosso, come i cartelli di pericolo, quelli a triangolo, che ti segnalano un terreno accidentato quando guidi, e che però non servono a niente, perché tanto non è che se vedi il cartello puoi riasfaltarti da solo la strada, o tornare indietro. Come i cartelli "Pericolo caduta massi". Che il massi-mo che puoi fare è rassegnarti, "Pericolo caduta, massì...", o dire una preghiera, o la tua ultima parola, per sicurezza. Io per esempio ne ho sempre una di emergenza, nel caso morissi senza saperlo, ne ho una che dico sempre prima di andare a dormire, che non si sa mai. Pensa che orrore occuparsi di parole per tutta la vita e poi morire dopo aver detto, come ultima parola, come ultimo insieme sensato di fonemi, non so, "IRPEF". Oppure "IVA". Che ancora ti va anche bene, perché è anche un nome, magari ti va di culo che Iva è tua moglie, o tua sorella, e che le vuoi bene, allora sei fortunato. Ma "IRPEF". Chi è che si chiama Irpef? Un essere abominevole, di sicuro. Quasi peggio di "herpes", che almeno è per sempre, dicono. Pensa che umiliazione, che vergogna, voglio dire, va bene la morte, ma IRPEF...Dopo che hai vissuto in mezzo alle parole, come Sartre dice di se stesso in "Les Mots". Eh, lo dice Sartre, ma...Chi è che non vive in mezzo alle parole? Per le parole? Grazie alle parole? Non è Sartre, sono io, sei tu - tu chi, poi? Poi quando? Tu, adesso! - siamo noi che siamo autori, che non sono solo tori ululanti, siamo noi che siamo autodromi, affollati e rombanti di corse, continuamente. "Continua-mente" è un gioco, lo si fa tutti, uomine, donni, vecchi e bambini. Nessuno resta fuori (a vedere te che vivi di lato). Il continua-mente è il gioco della specie fiumana, la specie che scorre. Dalle scimmie in poi. Poi quando? Adesso. E adesso. E adesso. [E ad essa, anche, e anche a te, e anche a me, e anche agli altri.]  

 
 
 

lunedì 25 maggio 2015

lost in traslation

La distanza tra le stanze è una vertigine
così grande che non posso parlarti.
Tutto andrebbe perduto comunque.
Resta solo il vento, l'albero fuori
dalla finestra, un vociare di bimbi
che non posso vedere.
Sono diventata
allergica alla primavera,
forse è il mio primo anno
di vera vecchiaia.
Sono diventata
spazio bianco.

anestetico


Adesso è l'ora in cui ho paura.
Cerco da ogni parte un volto amato,
anche solo
immaginato.
Cerco un volto amato
da ogni parte,
per chiedergli cose
sparse
tipo Marte, tipo
aiutami, tipo
perdonami.
Tipo portami, se puoi
a(l) mare.
A negare di annegare.
Adesso è l'ora in cui vorrei credere
gli dei per poterli pregare,
per poterli pagare.
Adesso è l'ora in cui
mi franano parafrasi,
le perifrasi imparate
per scrivere mio padre.
Adesso è l'ira in cui
non si può andare né restare.
La Casa, la Strada...
Ricordi? Ricordi? Sola, risponde le sponde
la mia eco. Ma d'improvviso il dolore si fiacca.
Si fa basso,
una tacca,
un ronzare di orecchie.
Quale buon anestetico
mi somministri stavolta,
corteccia vigliacca?
Non è gusto, sai.
Sarà anche antiestetico, ma
se mi togli il dolore
cosa rest
erà mai
del giorno che curva in discesa? Far la spesa?

Non trovo nessuno.

mattino

la luce filtra dai vetri sporchi
vaga
come promesse lasciate in bianco.

martedì 5 maggio 2015

marinaio 655


Apri gli occhi, piccolina,
che la Terra s'avvicina.
La tua mamma ha scelto il Mare,
strano modo di cullare,
sei arrivata in mezzo a un viaggio,
tra i due mondi sei il passaggio.
Apri gli occhi, dolce figlia,
senti il ritmo della chiglia,
e quest'acqua mista a sale
che già sfiora le tue ciglia.
Nina, non dimenticare,
vita e morte puoi mischiare,
quando cresci non scordarti
che le onde san guidarti.
Pesciolino, sai migrare,
sai già il gioco delle parti,
io ti posso co
nsolare,
è oceanico il mio amarti,
ma ogni volta che ti perdi
, barra a dritta, marinaio, se ti scuci fa' i tuoi nodi

che sapranno ripararti.
Apri gli occhi, esploratrice,
Bettica è la tua nutrice,
la tua prima
luminosa
cicatrice.

venerdì 1 maggio 2015

lavorare al dì di festa


Chicago, primo maggio 1886. Sabato. Oggi si lavora.
Come ogni altro giorno, tranne forse la domenica, si lavora. Sveglia alle 4, vestizione meccanica, al buio, la bocca che sa di stanchezza. Una giovane coppia di sposi operai. La fabbrica ha già consumato gli occhi e le mani di entrambi, lei cuce sempre la stessa borsa, lui avvita sempre lo stesso bullone. Fuori di casa alle 4:30, le gambe vanno da sole, i corpi si cercano ancora, assonnati, entrambi avvertono una silenziosa protesta, tra il cuore e la testa, mentre si allontanano.
Si rivedranno soltanto quando la luce del giorno sarà già svanita, quando i pensieri saranno disfatti, e sfinite le dita. Che oggi si lavora dodici, quattordici, sedici ore, perché si è nati operai, e il profitto del capo è l'unico scopo del mondo, il solo valore.
Chicago, primo maggio 1886. Sabato. Succede qualcosa di strano. La giovane coppia indugia sull'uscio di casa, si prende per mano. Sorridono, i cuori battono forte, insieme. Hanno sentito davvero? Hanno capito bene?
Un coro di voci riempie le strade:
“Otto ore di lavoro, otto di svago, otto per dormire”.
Una matematica semplice, giusta, pulita. La giovane coppia non va a lavorare, oggi si manifesta,
si fa festa, si lotta, si cambia la vita.

Seguono giorni duri, il potere reagisce, la polizia apre il fuoco sulla folla, ci sono i primi morti. Quando i poliziotti tentano di interrompere un comizio di lavoratori, qualcuno reagisce lanciando una bomba. La giovane coppia ha paura, lui la stringe a sé, “andrà tutto bene”. Ma la repressione è spietata, le sedi delle associazioni dei lavoratori vengono devastate, i dirigenti arrestati.
Undici novembre 1887. Venerdì. Quattro esponenti anarchici vengono impiccati in carcere.
Martiri, loro malgrado: i “Martiri di Chicago”.
Ma la giovane coppia, adesso, ha imparato a sperare.
E primo maggio dopo primo maggio, in tutto il mondo, lungo tutto il secolo breve, e oltre e nonostante le sue tenebre, i lavoratori di tutto il mondo si vestono a festa, si mostrano, tengono alta la testa. È bello svegliarsi, riprender coscienza, è bello creare nuovi valori, indipendenti dal capitale, è bello sentirsi più vasti, uomini e donne, non solo operai, ma rivoluzioni in potenza. La giovane coppia invecchia, per otto ore al giorno si gode un gioia ancestrale, fa figli e fa piccole cose, impara a ballare.

Milano, primo maggio 2015. Venerdì.
E adesso?
Oggi c'è chi inizia Expo, e chi chiede il permesso di non mettersi in vendita, di iniziare un Universale diverso.
Ma che festa è, questa lotta, per me? Cosa ci fa in manifestazione, la mia generazione?
Cos'è, la Festa del Lavoro, per chi da studente è passato troppo in fretta ad esser ridotto all'etichetta più ingiusta, “disoccupato”?
Disoccupato. Inutile umano, spreco di spazio, tempo buttato.
Così si sente, chi ha perso il lavoro, chi mai l'ha trovato.
Una giovane coppia di sposi senza lavoro è senza futuro, lui comprime il passato in civì da inviare per farsi dire che sì, ha diritto ad esistere, lei non sogna più niente, che i sogni l'han rosa come cianuro, non sa più resistere, non bada più a quello che sente.
Disoccupati. Perduti, delusi, destini imbrattati.
Ma disoccupati in che cosa? Mi vien da gridare.
Amiamo, ridiamo, sappiam cucinare.
Ma disoccupati in che cosa, le nostre giornate son da mal di mare!
Corriamo, migriamo, impariamo, ci curiamo del mondo, ce lo reinventiamo.
E anche se non guadagniamo, comunque noi sopravviviamo!
Venerdì primo maggio, Milano. Il lavoro è di tutti, il lavoro
di essere umani, noi lo celebriamo!
Lavoro, non sottomissione,
diritti, visioni, persone,
impegno sensato, passaggio
non da un salario ad una pensione,
ma ad un collettivo più saggio.
La giovane coppia ora osa
arrossarsi le guance di baci
e progetti vietati.
In questo, noi siamo occupati,
nel nobilitarci le ore, nel farne qualcosa
che prima non c'era,
ma senza comandi, signore,
né i tuoi contanti.
In questo, noi siamo occupati.
A restare vivi, ad agire di cuore,
e non per il Dio Plusvalore.
In questo, noi siamo occupati.
Pensiamo per ventiquattr'ore,
agiamo dell'altro, cambiamo il messaggio!
Venerdì primo maggio.
Chi è appassionato è un lavoratore.
La lotta è cambiata
ma resta importante, sensata,
il dì di festa
la festa non muore.

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