alla fine g. cede, striscia fino all'extraverso, lo spalanca con un gesto brusco e lui la illumina prevedibile, placido.
non è una notte buona.
g. ha il respiro strano, questo rumore che le vibra acuto e ostinato nei timpani, e troppe memorie sfilacciate negli occhi chiusi, aperti, chiusi, aperti, confusi.
deve spegnersi la testa, ma non riesce o forse non vuole. non ha dosi disponibili di nessuna droga illegale, solo diverse droghe legali che però le fanno tristezza in quanto tali. pensa a possibili uscite di scena che le risparmierebbero l'impotenza del prossimo giorno. forse g. vuole accendersi la testa, bruciarla come una fiaccola, sventolarla nel buio solo ipotetico della notte urbana.
meglio non trasmettere, in queste condizioni.
la luce dell'extraverso è ipnotica e consolante, forse non c'è neanche bisogno di trasmettere, g. aspetta vagamente un rompi-bianco che non verrà. si cancella nell'attesa.
l'extraverso fa un rumore simile a quello che g. ha nei timpani, un ronzio, uno scorrere d'acqua inesistente, o di tempo. Sembra un tentativo di comunicazione, g. chiude gli occhi.
neanche così è buio.
"il vuoto", dice g.
- tutto questo tempo vuoto. Non lo sopporto, non so cose farmene, mi rende triste da morire. Ma non è il tempo, siamo noi. Siamo vuoti, non lo vedi? Poco più che specchi. Quando non c'è niente, riflettiamo niente, siamo niente. Siamo contestuali, sono sempre le condizioni al contorno che ci muovono: ci pompano, ci gonfiano, ci danno intelligenza, parole e gesti e poi...non avrei voluto vedere questo, g, vederti così, come un patetico specchio vuoto. Come me. Non ci vedi? Cosa facciamo se non gesti ricalcati dai nostri morti. Le mani sui fianchi erano tuo padre, le mie dietro la schiena erano qualcun altro. Sequenze di azioni percorse e ripercorse fino al limite dello scomparirci dentro: i nostri atti quotidiani assomigliano a zombie, i nostri atti più naturali sono semi-cadaveri scampati alle nostre precedenti piccole morti. Per non parlare delle parole. Ci siamo condannati a ripetere sempre le stesse, come un canovaccio. Sinonimi e contrari incontrati in coriaceo rivorticare, rievocare echi per diffondere a banda larga le nostre ossessioni, i nostri tic. Zecche semantiche ci succhiano il sangue. Ed è tutto un tritare, un tirare, un rimestare di sillabe. E giù a ruminare romamor, gli anagrammi per trovare i sensi, gli anni a grammi passati davvero ma palindromi solo per finta. Siamo i nostri tic, g., le nostre cit. ci sintetizzano. La riduzione non lascia scampo, basta viversi addosso qualche centinaio di ore per operarla. Piccole vite che girano in tondo. Ho iniziato a ridurti, a ridurci, e tem(p)o sia irreversibile-
le droghe legali e illegali ostacolano la riduzione. Frammentano il vuoto, alterano lo specchio. Distraggono dalla distruzione. Sono come un potentissimo meta-contesto: ti danno sempre qualcosa da riflettere. Ecco perché sono vitali per quasi tutti.
come l'extraverso, che per ora si può annoverare tra le droghe legali.
perché rompere il bianco dà l'illusione di riempire il vuoto.
rompere il bianco dà l'illusione di riempire il vuoto.
rompere il bianco dà l'illusione di riempire il vuoto.
l'illusione rompe il bianco di riempire il vuoto.
il bianco illude il riempimento di vuotare la frattura.
il pieno svuota la frattura di riempire l'illusione.
e poi il vuoto rompe l'illusione.
ucronista

- iskariel
- Paris, France
- Gaia Barbieri nasce e vive nonostante tutto come il basilico a Lausanne, da trentaquattro anni e più che altro per curiosità. ...JeSuisUnAutre...
tempi persi
martedì 29 luglio 2014
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